Lettera a Marco Pantani

Quattordici, Marco. Come gli anni che sono passati. Quattordici, come il 14 febbraio in cui te ne sei andato. Un San Valentino, la festa degli innamorati. Per te che avevi perso l’amore per tutto, forse anche per la vita.

Tradito, isolato, rovinato. Il re delle salite che imbocca una discesa infinita. E non c’è bici che tenga, per tentare di ripartire. Certe volte non puoi alzarti sui pedali, levarti la bandana e via, lasciarti tutti i problemi alle spalle.

No, quel 14 di quattordici anni fa sei andato in fuga per sempre. E non c’era un De Zan, un Bulbarelli di turno, in cronaca, a fare da megafono alle tue imprese. Nessuno che urlava “Pantani!“, a bordo strada. Eri da solo Marco. Ma solo davvero. Senza mamma Tonina e papà Paolo, senza tua sorella Manola. Senza i tuoi gregari a coprirti dal vento, a curarti la ruota.

Solo. In preda ai tuoi deliri, a scrivere il tuo testamento su un passaporto. A rivendicare che Pantani era uno sportivo, non un dopato. Solo senza Christina, la danese che ti aveva rapito il cuore. Solo e basta. A pochi metri dalla morte. Che alla fine è arrivata, sotto uno striscione triste – non quello di un tappone del Giro o del Tour – in un residence di Rimini che alla fine hanno pure abbattuto. Si chiamava “Le Rose“.

Ma i petali sono appassiti tutti, pure quelli del ciclismo. Perché se ancora la gente usa i gessetti per scrivere in strada il tuo nome, un motivo ci sarà. Ed è che hai fatto il vuoto, come quando la strada iniziava a salire. Nessuno mai, dopo di te. Non Nibali, non Aru. Nessuno, punto.

Quattordici, quindi. Eppure il nodo in gola c’è sempre, al punto che sembra che tu sia morto oggi. Quattordici, però. Come il 14 di San Valentino e l’amore dei fan – quello no – che non scema. Perché pedali sempre un po’ con noi, che abbiamo il tuo ghigno dipinto in faccia su una rampa di 20 metri, mettiamo le mani sotto il manubrio col rischio di finire a terra, ci leviamo la bandana nonostante tutto. Quattordici, insomma. Ma potrebbero essere pure 100: Pantani vive, viva Pantani.

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