Marzo 6, 2018

Renzi si è dimesso, ma non da se stesso

 

Ha perso. E ammetterlo gli costa una certa fatica. Ma è come sempre quando perde, che Renzi offre il meglio del suo repertorio politico. Fu così nel 2012, quando sconfitto alle primarie da Bersani pronunciò uno dei discorsi più belli della sua carriera. E così è stato ieri, quando ha scelto di gettare la maschera, sapendo che così avrebbe fatto uscire allo scoperto i congiurati che da tempo tramavano nell’ombra.

Si fa attendere per tutta la giornata, il giorno dopo il crollo. Nella stanza al terzo piano del Nazareno, Renzi è circondato dai suoi pretoriani. Da Lotti a Richetti, da Guerini ad Orfini. Tutti gli chiedono di resistere alla guida del Partito, non vogliono il sacrificio del capo. Forse perché sanno che se viene giù Matteo viene giù tutto, compresi loro.  Ma tant’è, Renzi stavolta non cambia idea. Passa tutto il giorno a rifinire il discorso dell’addio. O dell’arrivederci. E sul foglio che ripiega nervosamente, quando si presenta davanti ai giornalisti, sono scarabocchiati tutti i sassolini che il segretario ha deciso di togliersi dalle scarpe, prima di lasciare il cortile e portare via il pallone.

renzi dimissioni

Ne ha per tutti, Matteo. Ne ha per Mattarella, che gli ha negato di tornare alle urne quando il vento populista non era a suo dire così forte. Ne ha per Gentiloni, già ex amico, destinatario dell’accusa di quell’eccesso di tecnicismo che secondo lui è stato tra le cause del tonfo nelle urne.

Ma chi spera che Renzi lasci senza colpo ferire non conosce l’uomo. Qualcuno lo definisce arrogante, lui preferisce dire di avere carattere. E in effetti quello usa quando dice “no agli inciuci“, “no ad un reggente scelto da un caminetto” e “no agli estremismi“.

Così bombarda chi spera in un appoggio esterno ad un governo Di Maio o Salvini; chi da mesi tramava per una sua successione e chi, dopo aver descritto lui e il suo Pd come “mafiosi, corrotti, impresentabili, con le mani sporche di sangue“, adesso sperava nei suoi voti.

Ed è qui che Renzi ha il suo sussulto d’orgoglio:”Sapete che c’è? Fate il governo senza di noi“, dice. E in quella frase sta tutta la ripicca covata dal segretario, che annuncia le dimissioni ma le rinvia. Non perché abbia voglia di prolungare la sua reggenza. Al contrario, non vedrebbe l’ora di sbarazzarsi dei vincoli del Pd, di tornare a fare il battitore libero che solo 4 anni fa entusiasmava le folle. Ma perché davvero si sente “garante di un impegno morale, politico e culturale: abbiamo detto in campagna elettorale no al governo con gli estremisti e degli estremisti, non abbiamo cambiato idea in 48 ore“.

Ne fa un punto d’orgoglio. Resterà per impedire che chi lo ha abbattuto tragga vantaggio dal suo patrimonio politico. Resterà fino a quando qualcuno dal Pd non abbia la forza – e il coraggio – di rovesciarlo. E poco conta che nessuno creda al suo addio alle scene. Nemmeno lui si spinge a chiedere tanto. Al massimo arriva a dire che in futuro farà il senatore semplice. Ma c’è già chi lo vede, tra qualche mese, ricandidarsi alle primarie. Si sarà pure dimesso da segretario, ma Renzi non si è dimesso da se stesso.

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