Del Potro: il gigante di Tandil venuto dalla fine del mondo

 

Il gigante di Tandil si muove senza grazia, porta un peso niente male. Dall’alto osserva tutto e tutti, come un Ciclope può schiacciarti oppure no. Figura mitologica – o giù di lì – non fabbrica fulmini per Zeus, ma i suoi colpi sono come saette. Puoi restare folgorato.

Ai campi di mais e patate ha preferito quelli da tennis. Resta comunque il giallo, ma delle palline. E che rimpianto pensare che poteva essere dei nostri, perché il cognome non mente: scorre nelle sue vene il sangue di qualche italiano d’Argentina, di un emigrante salito su una nave salpata per le Americhe, chissà quanti anni fa.

Così il gigante di Tandil (con l’accento sulla i) lo senti anche più vicino. Pure se si macchia di lesa maestà, sfidando e sconfiggendo a duello Re Roger, capisci di non volergli male. Perché pensi al calvario che ha passato, ai polsi rotti e doloranti, agli infortuni mille, alla sfortuna troppa.

Ripercorri la sua vita e la sua storia. Lo vedi giocare bambino in un campo da calcio, sognare un futuro da campione del pallone. Poi ne comprendi la tragedia: la sorellina che sale in cielo, i genitori che pensano di colmare i vuoti e tappare le tristezze aggiungendo un altro impegno alla sua giornata. E Juan Martin che inizia a tirare contro un muro a tutte le ore, pensando di spaccarlo, di fargli male con in mano una racchetta.

Ma il gigante di Tandil non è mai stato un orco cattivo. Ha solo braccia pelose e altezza da mostro. Poi due occhi azzurri e onesti come il mare. Di lui ci si può fidare. Come il Papa argentino, c’è un tennista “venuto dalla fine del mondo“.

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