Perché Di Maio sbaglia: il torto al M5s e quello al Paese

 

Quando sorride ai giornalisti, facendo il suo ingresso nella Sala degli Specchi di Palazzo Giustiniani, l’atmosfera è carica di un’attesa paragonabile a quella di una finale olimpica. Ma Luigi Di Maio non sale sul podio a prendersi la medaglia. Piuttosto ha l’espressione di chi ha corso sapendo di non poter vincere, dopo il colloquio con la Casellati.

Parla un politichese di primissimo livello, il leader del Movimento 5 Stelle. Che più i giorni passano e più si fa strada la convinzione che a breve sarà Partito.

Sostiene l’impossibilità di sedersi allo stesso tavolo di Berlusconi. E nel ragionamento infila anche la Meloni, una sottigliezza volta a chiarire che lui la Terza Repubblica vuole inaugurarla con il solo Salvini. Gli altri, se vogliono, possono al massimo regalargli i loro voti in Parlamento.

E c’è quasi da capirla, l’ostinazione con cui difende la parola data Di Maio,  che la frittata non l’ha fatta oggi, ma nel momento in cui ha rivendicato l’impossibilità di formare un governo con Berlusconi.

Un atteggiamento, per quanto sostenuto con piglio fermo dalla base grillina, autolesionista e ingiustificabile. Non tanto – o non solo – per l’arroganza con cui chi schifa il voto di 4 milioni e mezzo di italiani, ma soprattutto politicamente miope.

Perché dopo anni di opposizione e promesse, di ricette di buon governo declamate in tv, non può essere un Berlusconi al 14% a poter condizionare la forza di un Movimento che ha preso il 32% e che vuole governare con il 17%.

No, non può essere che su una questione di principio si areni la possibilità di formare un esecutivo. Non può essere che Di Maio rischi di spiaggiarsi per non aver voluto incontrare Berlusconi.

Davvero il veto su un uomo solo può bloccare milioni di italiani? E davvero Di Maio può arrogarsi il diritto di impedire al M5s di dimostrare che in tutti questi anni aveva ragione ad attaccare i partiti tradizionali?

C’era un detto, che è sempre valido: chi troppo vuole…

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