Sono solo parole
Se fare politica fosse il racconto delle proprie giornate, dire con chi si è parlato, cosa si è chiesto, a che si è pensato, allora sì, Matteo Salvini sarebbe il miglior politico in circolazione. Peccato che fare politica significhi amministrare, decidere, rischiare, gestire, ascoltare, risolvere i problemi della gente. In pratica tutto l’opposto che parlare.
Ed è in questo equivoco persistente, tra il racconto che Salvini dà della sua azione e quello che realmente ottiene, che sta lo scarto tra il comunicatore e il politico. Perché a vederlo su Facebook, a guardarlo in tv, a sentirlo in radio, il Matteo leghista sembrerebbe aver risolto buona parte dei problemi dell’Italia, parrebbe aver finalmente preso in mano il dossier migranti (da lui raccontato come un’emergenza). Eccolo, insomma, l’uomo del destino, l’eletto dalla storia perché la scriva.
E invece la realtà è che cambiano i modi e i toni, ma pure con interlocutori a lui affini come il tedesco Seehofer e l’austriaco Kickl, il nostro ministro dell’Interno torna dal vertice europeo senza avere in mano un risultato che sia uno. Il fatto è che l’Italia ha priorità che per Germania e Austria sono al massimo note a margine. E viceversa.
E allora dell’elenco di Salvini: “Ho chiesto un impegno sulle espulsioni, ho chiesto collaborazione economica per il controllo delle frontiere a sud della Libia, ho chiesto la revisione delle regole di ingaggio, ho chiesto più uomini e mezzi per raffrontare Frontex sulle frontiere esterne dell’Ue e l’avvio di un percorso per stabilire un’autorità della Libia sulle acque di sua competenza per arrivare a riconoscere i porti libici come sicuri“, di questa serie di “ho chiesto”, di questa letterina a Babbo Natale cosa resta se poi nessuno queste proposte le accetta?
Cosa resta se in una riunione tra sovranisti la formula preferita è “prima gli italiani”, “prima i tedeschi” o “prima gli austriaci”?
Restano i proclami, le dirette Facebook, le promesse senza scadenza.
Una cantante diceva: “Sono solo parole“.