Novembre 28, 2018

Cosa aspetta a dimettersi?

 

Luigi Di Maio fa anche una certa tenerezza, quando guarda negli occhi Filippo Roma delle Iene e gli confida che col papà non si sono parlati per anni, aggiungendo peraltro un “te lo dico col cuore” da far impallidire Barbara D’Urso. Ed è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Perciò la tentazione di andare controcorrente, di schierarmi per una volta dalla parte del capo politico M5s c’è stata, lo ammetto. E non sarebbe stata un’assoluzione, una pacificazione frettolosa e immotivata, piuttosto l’occasione per dimostrare la diversità che esiste tra signori e gente senza scrupoli, tra chi è provvisto di una sensibilità e chi invece è ossessionato dal desiderio di distruggere il rivale politico con tutti i mezzi a sua disposizione.

Ma al netto dei buoni propositi, difendere Luigi Di Maio è oggi impossibile. Avesse guidato un altro ministero, che so, quello degli Esteri, sarebbe rimasto solo un forte senso d’imbarazzo, un’onta difficile da lavare via per chi ha fatto dell’urlo “o-ne-stà, o-ne-stà” il suo grido di battaglia. Non fosse stato il ministro del Lavoro, quello che il lavoro nero è chiamato a combatterlo, la leggerezza del padre sarebbe stata un boccone facile per i suoi detrattori, qualche settimana sulla graticola e via con la prossima polemica. Non avesse ricoperto il ruolo di ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio avrebbe potuto spiegarci in tutta serenità da dove passa lo sviluppo delle imprese, cosa si può fare per favorire la crescita delle aziende e al contempo tutelare i diritti dei lavoratori. Ma i congiuntivi ancora una volta non sono amici di Di Maio.

In un Paese normale, in un’Inghilterra qualunque, il vicepremier avrebbe fatto un passo indietro prima ancora della messa in onda del servizio delle Iene. E non perché sia colpa sua. E non perché umanamente non mi dispiaccia anche un po’. No. Si chiamano ragioni di opportunità. E fanno rima con sensibilità. La stessa che Di Maio e i suoi hanno dimostrato in passato di non avere per faccende simili. Proprio quella che dovrebbe spingerlo a lasciare il suo doppio ministero. Cosa aspetta a dimettersi?

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