Aprile 19, 2019

Mai così distanti

Questa volta il gioco delle parti c’entra poco. Perché il ritiro delle deleghe da sottosegretario di Armando Siri ad opera di Danilo Toninelli è stato vissuto in casa Lega per quello che è: un colpo basso, indipendentemente dalla vicenda giudiziaria in sé, un salto di qualità nella ricerca continua della polemica, che è il sintomo di un barometro che da ormai settimane resta fisso su bufera.

Il segno dei tempi lo dà la modalità dello scontro. Perché Di Maio che “denuncia” sui social la tentazione della Lega di tornare con Berlusconi è la prova della fine delle comunicazioni tra lui e Salvini. Di più: è l’evidente tentativo di mettere in difficoltà l’avversario sul piano personale, perché personale è il rapporto tra Siri e Salvini, personale è l’attacco sulla “legalità” che Di Maio indirizza alla Lega (“Senza di noi chissà che cosa sarebbe accaduto”).

Come se d’un tratto sia emersa l’urgenza di rivendicare quella “diversità” del MoVimento rispetto a tutti gli altri. Smentita dai fatti, dalle inchieste che colpiscono tutti, dall’attaccamento alle poltrone, dall’incapacità di dare seguito alle promesse elettorali, eppure spiattellata in faccia al partner/rivale nel momento più difficile.

Non è un caso che Salvini risponda su Facebook premendo su “l’amico Luigi”, gli “amici dei 5 stelle”. Come dire: “Ecco, menomale che siete amici…”. E’ una sottolineatura voluta, cercata, marcata, che svela la realtà dei rapporti di oggi, passati dalla diffidenza all’ostilità, dallo scetticismo alla rissosità, in un’escalation di tensione di cui onestamente non si vede la fine.

Perché il punto alla fine resta questo: forse nessuno dei due ha il coraggio di strappare realmente. Per quanto le incompatibilità giustificherebbero ben più della vicenda Siri l’interruzione di questo esperimento di non-governo che fa solo del male all’Italia. Eppure, in uno scenario in cui l’uno sembra frenato dall’altro, che il tema sia la Tav o i porti chiusi, le infrastrutture o la politica economica, nessuno dei due trova il coraggio di rompere.

Salvini perché non è certo di essere autosufficiente e di non dover tornare a bussare da Berlusconi. Di Maio perché nell’ultimo anno ha perso troppi voti e i tempi per un eventuale cambio di maggioranza col Pd non sono ancora maturi, con Zingaretti deciso a capire se l’operazione sorpasso è davvero possibile oppure è una chimera.

Resta l’impressione di una partita a scacchi estenuante, di un’attesa sfibrante che si consuma sull’Italia. Di uno strappo che a livello umano si è già verificato. Come in una coppia che sa che stavolta è finita, ma per dirselo attende la prossima lite. In una frase: mai così distanti.

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