Aprile 25, 2019

25 aprile, un leader senza memoria non è un leader

Partiamo da un augurio: buon 25 aprile a tutti, ma proprio a tutti, anche a quelli che oggi possono permettersi il lusso di snobbare la Festa della Liberazione proprio perché sono stati liberati.

Tra loro c’è Matteo Salvini, che ha deciso di disertare le celebrazioni di questo importante anniversario dando prova, se ce ne fosse ancora bisogno, di non avere i connotati necessari per essere un leader che unisce la Patria, con la “p” maiuscola, come piace a lui.

Non è buttandola in caciara, alimentando tensioni e divisioni che nel 2019 si sperava fossero superate, che ci si afferma come uomo delle istituzioni, come interprete dell’unità nazionale. D’altro canto non deve sorprendere l’atteggiamento di chi non è mai stato un “partigiano” di questo Paese. Nemmeno nelle occasioni più futili: Salvini è lo stesso che alla finale degli Europei di calcio del 2000 tifava Francia contro l’Italia. Non siamo dinanzi ad un patriota, Salvini non è lo statista che crede di essere, non dobbiamo meravigliarci se non comprende il valore di una giornata che celebra la riscossa di una comunità intera.

Perché il 25 aprile è la festa dei partigiani, ma è anche la festa dei sacerdoti che morirono insieme ai propri fedeli. La Resistenza è quella dei fazzoletti rossi, ma è anche quella dei 600mila internati nei lager nazisti che preferirono restare in prigione piuttosto che imbracciare i fucili contro altri italiani. Salvini è un esempio vivente di memoria selettiva: celebra l’Italia solo quando gli pare, è un sovranista che ha scordato quando ci siamo riappropriati della sovranità. Ma un leader che non conosce la storia non è un leader. Un leader che non ricorda il passato non è un leader. Peggio: un leader che non vuole riconoscere la storia e il passato non è un leader.

Com’è che recitava quello slogan? Ah sì, prima gli italiani…Come quelli che sono caduti, a migliaia. Pure per te, Salvini.

Lascia un commento