Giugno 2, 2019

Fuori i politici dalla Festa della Repubblica

Come quando da bambini ci davano la possibilità di fare un gioco bellissimo, un’esperienza nuova e poi noi, cretini, iniziavamo a litigare, a rovinare tutto, ad irritare i genitori. Andava finire sempre allo stesso modo: mamma e papà ci toglievano il giocattolo, ci riportavano a casa tra lacrime disperate ma tardive. Era l’unico modo che conoscevamo per imparare la lezione.

Così bisognerebbe trattare i politici, soprattutto quelli che rovinano le feste d’unità nazionale rendendole temi di campagna elettorale, anche adesso che all’orizzonte – almeno ufficialmente – non c’è nessun voto.

Dopo il 25 aprile, guastato da Salvini e dalle sue ricostruzioni storiche farlocche, ora è toccato alla Meloni rovinare il 2 giugno, la Festa della Repubblica. Prima contestando il tema della parata militare a Roma (dedicata all’inclusione), poi denunciando di non essere stata invitata. Falso, ovviamente. Come fonti della Difesa hanno minuziosamente spiegato, la Meloni voleva un posto nella tribuna presidenziale. Come fosse un’istituzione, non una leader di partito.

Perché alla fine, come si è visto il 2 giugno di un anno fa, con il governo fresco di giuramento e i 5 Stelle ancora in luna di miele con il Paese, la Festa della Repubblica così come qualsivoglia celebrazione, che siano i funerali delle vittime del Ponte Morandi o passeggiate in giro per l’Italia con il giubbotto della Polizia, sono tutte buone occasioni per ostentare, nutrire l’ego, acchiappare voti.

E poco importa che di questo passo vadano smarriti quei pochi simboli che ci tengono insieme, che ancora ci fanno sentire un Paese solo, da Nord a Sud, da Sud a Nord. Conta il gradimento nei sondaggi, la percentuale di voti, la prima fila davanti ai fotografi, la carrellata di selfie col pubblico inneggiante.

No, meglio fare come i nostri genitori. Via i politici, che paghino tutti anche se hanno sbagliato in pochi. Presenti alla Festa della Repubblica soltanto il Capo dello Stato, il ministro della Difesa e i vertici militari di turno. E poi i rappresentanti della società, le associazioni di volontariato, gli artigiani, gli imprenditori, i lavoratori, i pensionati. Perché il 2 giugno è la festa della dell’Italia, della “res publica”. E la cosa pubblica è di tutti. Non di parte. Non dei partiti.

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