Febbraio 2, 2020

Speranza e l’untore della paura

Mai stato un sostenitore di Roberto Speranza. Mai, nemmeno per sbaglio, come un orologio rotto che almeno due volte al giorno segna l’ora esatta, trovatomi d’accordo con un suo punto di vista politico, una lettura della società, un’idea d’Italia. Ma onore al merito di chi lavora bene. Rispetto per chi, chiamato a dirigere un’istituzione importante come il ministero della Salute, ha dimostrato che è possibile essere buoni politici senza trascendere nella dannosa propaganda.

La gestione del caso coronavirus da parte dell’Italia è stata fin qui impeccabile. La chiusura del traffico aereo da e per la Cina, l’isolamento dei due turisti malati a Roma, le indagini capillari per ricostruire ogni spostamento della coppia, la dichiarazione dello stato d’emergenza sanitaria per i prossimi 6 mesi, la designazione a commissario di Angelo Borrelli, capo della Protezione Civile, l’organizzazione del rimpatrio degli italiani residenti a Wuhan, i controlli negli aeroporti, lo stanziamento di un fondo da 5 milioni di euro. Difficile chiedere una prova di efficienza migliore di questa.

Roberto Speranza, però, il meglio del suo repertorio lo ha offerto quando ha deciso di non dare troppo peso alle polemiche dell’untore di paura della politica italiana: Matteo Salvini. D’altronde c’è chi su questi temi ha costruito le proprie fortune: prima erano i migranti, adesso è il virus che arriva dalla Cina. Sempre facile giocare sul fattore dell’irrazionalità, troppo allettante per rinunciarvi l’idea di solleticare l’istinto di conservazione umano, raschiare il fondo del barile e rischiare di generare una psicosi. Salvini è riuscito a rivendicare anche di fronte al contagio dei due cinesi a Roma: “Noi l’avevamo detto”, è stato il senso del suo post sui social. E via con le critiche per le “frontiere aperte”, come se l’Italia possa un giorno, d’un tratto, decidere di dimettersi dal suo posto nel mondo, come se lui stesso non sapesse che l’isolamento e l’isolazionismo sono buoni argomenti soltanto per comizi da sovranisti. Poi il governo del Paese è altra cosa.

Ebbene, Speranza, dinanzi a quest’ondata d’ignoranza potenzialmente contagiosa e dannosa, di fronte al virus del terrore, ha opposto la cura perfetta: “Non inseguo chi intende lucrare politicamente su questa vicenda. Per me il Paese deve essere unito, giocare insieme questa sfida e vincerla”. Così si fa il ministro, così si smaschera chi fa propaganda sulla pelle delle persone. Così Speranza non è più solo una speranza: ma un unguento da opporre all’untore della paura. Poi, una volta finita l’emergenza, tornerà ad essere un politico con idee rispettabili, ma diverse dalle mie.

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