Febbraio 17, 2020

Che fai, lo cacci?

La politica italiana si conferma all’avanguardia. Sta inaugurando un nuovo genere: il reality-thriller. Ogni giorno una polemica, ogni ora una minaccia di crisi di governo. Un meccanismo perfetto per alzare gli ascolti. Fino a quando il pubblico, in attesa permanente del colpo di scena (che non arriva), capisce che non succede niente: è tutto un bluff, meglio cambiare canale.

I protagonisti di queste ore sono indubbiamente due: Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Il premier ha dimostrato in questi mesi una capacità di galleggiamento nel mare agitato della politica onestamente sorprendente. Presiedere due governi dopo essere apparso sulla scena da perfetto sconosciuto non è impresa da tutti. In poco tempo è emersa la maggiore caratteristica dell’autoproclamato “avvocato del popolo”: è un ottimo avvocato di sé stesso.

Ma quando si parla di schermaglie politiche, di colpi di fioretto, Matteo Renzi ha dalla sua un’esperienza diversa. A dirla tutta l’aveva anche Matteo Salvini, ma il caldo d’agosto e la brama di “pieni poteri” lo hanno trascinato in una botola da cui fatica ad uscire. Renzi non ha questi problemi. Al contrario: la fretta, la velocità, sono i suoi maggiori nemici. Logorare Conte va bene fino a quando non si rompe il governo. Per questo motivo nella diretta Facebook in cui ha aperto e subito dopo chiuso il confronto con Conte c’è un passaggio fondamentale: “Caro presidente del Consiglio la palla tocca a te. Noi non abbiamo aperto la crisi ma non rinunciamo alle nostre idee, rispetteremo la tua scelta. Puoi cambiare maggioranza, lo hai già fatto, sai come si fa, quello che non puoi dire è che noi siamo opposizione maleducata perché se lo siamo voi non avete la maggioranza“.

La politica vive dei suoi riti, è perfino ciclica. Vi sembra di avere già assistito a qualcosa di simile? Sì, è vero. Renzi ha rievocato il “Che fai, mi cacci?” di Gianfranco Fini. Ma Conte a differenza di quel Berlusconi è meno forte. Il drappello di (ir)responsabili pronti a sostituire il governo esiste, uscirà fuori al momento opportuno, se mai dovesse essercene bisogno. L’istinto di conservazione del Parlamento è esemplare. La salvezza momentanea di Conte coinciderebbe anche con la sua fine a livello d’immagine. Conte ha sancito il suo percorso di vita con una frase passata in sordina, pronunciata strategicamente prima di Capodanno, con gli italiani storditi dalle mangiate natalizie e sazi quanto basta di politica: “Dopo questo mio intenso coinvolgimento, non vedo un futuro senza politica. Non mi vedo novello Cincinnato che mi ritraggo e mi disinteresso della politica“.

Questo è il punto: Renzi ha bisogno di tempo per dare ad Italia Viva una dimensione che attualmente non possiede. Conte non può rischiare di passare come l’uomo attaccato alle poltrone, il vecchio politico che passa da una maggioranza all’altra come niente fosse.

Renzi, però, nei prossimi mesi dovrà capire da che parte stare. Il progetto di fare al Pd ciò che ha fatto Macron ai socialisti francesi sembra difficile da realizzare soprattutto per un motivo: egli non viene percepito come un uomo di sinistra, al massimo di centrosinistra. Ed è chiaro che Italia Viva difficilmente potrà presentarsi alle prossime elezioni in coalizione con Pd e M5s, a maggior ragione nelle vesti di junior partner. Pensare ad un’alleanza con Salvini è fantapolitica, Renzi non entrerà nel centrodestra. L’ipotesi più percorribile è che tenti di creare il centro. E’ un’operazione lunga e complicata, anche questa. Serve convincere Forza Italia, +Europa, Azione di Calenda, Udc e altri partitini a formare un unico blocco, ma soprattutto a rinunciare alle garanzie che la permanenza nei rispettivi poli fornisce.

Ecco perché al di là dei riti della politica, dei suoi cicli, i déjà-vu avvengono ma con qualche variante. Renzi ha minacciato la crisi. Ma non l’aprirà. La questione è ribaltata. Il cerino nelle mani di Conte: “Che fai, lo cacci?”.

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