Marzo 4, 2020

Super Biden

Joe Biden è un brav’uomo. E dire che il successo nel Super Martedì delle primarie democratiche è figlio degli endorsement ricevuti nelle ultime ore o dei ritiri degli altri candidati significa non aver capito nulla di queste elezioni, sapere zero di politica, niente di niente degli americani.

Se avete seguito una qualsiasi maratona elettorale sui canali italiani avrete fatto in tempo ad accorgervi del perché l’America è un grande Paese. E forse avrete provato, come il sottoscritto, un briciolo d’invidia per lo spettacolo della loro democrazia, per la partecipazione che riescono a catalizzare, per l’entusiasmo di cui sono capaci. Ma la lezione di questo Super Tuesday è probabilmente opposta a quella che molti commentatori stanno suggerendo in queste ore: il popolo statunitense fa la sua scelta liberamente. Gli endorsement contano, ma fino ad un certo punto. I soldi servono, ma non bastano. Chiedere a Mike Bloomberg.

Joe Biden ha vinto perché dopo il successo in South Carolina di pochi giorni fa è apparso il candidato più credibile per realizzare due obiettivi: affermarsi come candidato dell’elettorato moderato da opporre all’ala radicale rappresentata da Bernie Sanders. Ma soprattutto: migliore sfidante di Donald Trump. Niente di più, niente di meno.

Attenzione: le primarie non sono finite, Sanders è ancora vivo. Se Biden volesse dargli la mazzata finale dovrebbe riuscire a convincere Elizabeth Warren, sconfitta anche nel suo Massachusetts, a rinunciare alla candidatura in cambio di un posto da vice-presidente. Questa manovra avrebbe l’effetto di unire l’ala moderata e l’ala più radicale del Partito Democratico, sbarrando la strada alle speranze di Sanders di conquistare la nomination.

Ora, credere che Biden abbia in tasca la vittoria tra i Democratici è profondamente sbagliato: significherebbe non aver appreso nulla dalla prima parte di questa straordinaria corsa. Il cammino è ancora lungo, le bucce di banana sempre dietro l’angolo. E ancora: pensare che Biden sia il favorito contro Trump vuol dire prendere un abbaglio. Ma l’ex vicepresidente sta vivendo quello che gli americani chiamano “momentum”: è un po’ come dire che è sulla cresta dell’onda, la sta cavalcando, deve riuscire a farlo per più tempo possibile, senza farsene travolgere.

Sarà pure vecchio, disponibile per un solo mandato da presidente, espressione dell’establishment, troppo legato all’era Obama, appannato rispetto al campione oratorio che un tempo arringava le folle d’America. Ma ha un’esperienza decennale che fa di lui un profilo più che affidabile per la Casa Bianca. E’ popolare negli “swing states”, gli stati in bilico decisivi per le elezioni di novembre. E incarna il desiderio di normalità provato da milioni di elettori americani dopo 4 anni di presidenza Trump. Non è poco.

Poi è un brav’uomo. Può bastare.

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