Marzo 22, 2020

I Fantastici 4

In Italia circola un solo coronavirus. Nessuna mutazione: può cambiare la targa, ma la casa di produzione della macchina di morte rimane la stessa. A tentare di arrestarne la corsa c’è il governo: a rimorchio dell’emergenza, piuttosto che al comando. La serie di provvedimenti a ripetizione di questi giorni, di volta in volta sempre più restrittivi – ma sempre tardivi – ne sono la prova. Parallelamente stanno emergendo con forza almeno quattro figure, quattro modelli di governo locale, che meglio stanno interpretando questa crisi: e dal punto di vista della gestione, e da quello comunicativo. Simboli positivi dell’emergenza.

ANTONIO DECARO, sindaco di Bari – Il primo della lista è un sindaco. E che sindaco! Le sue intemerate per le vie della sua città sono diventate “virali” al punto che anche le tv cinesi hanno deciso di trasmetterle. Le immagini di Decaro che combatte contro l’indisciplina, che scova anziani e bambini negli angoli più remoti della sua amatissima Bari, sono l’emblema di ciò che un sindaco deve incarnare. In pochi ricordano che il primo cittadino non è soltanto quello che indossa la fascia tricolore alle processioni e taglia i nastri alle inaugurazioni: il sindaco è anche la prima autorità sanitaria della città. Animato da questo spirito, dalla volontà di fare rispettare le leggi nei confini che amministra, l’impavido Decaro sfida ignoranza e presunzione: “Andate a casa!“, urla quasi disperato con quell’accento che tanto ci piace, che non vediamo l’ora di riascoltare dal vivo, appena sarà possibile. Lo fa lasciandosi andare a delle esclamazioni sincere che lo rendono meno sceriffo e molto più umano, che danno la dimensione del suo sentimento per la città che governa: “Mi farete morire di crepacuore, mi farete!“. Non fatelo, tenetevelo stretto questo sindaco. Ps: Decaro sarebbe anche un ottimo presidente della Regione Puglia. Pensiero personale.

LUCA ZAIA, governatore del Veneto – Quella gaffe sui cinesi che mangiano i topi resterà una macchia indelebile. Da un presidente di Regione sarebbe lecito attendersi uno stile diverso, una cultura e una sensibilità di altro stampo. Ma un conto è la parvenza, un altro è la sostanza. E i numeri del coronavirus in Veneto, se rapportati a quelli di altre regioni del Nord, sono la dimostrazione dell’ottimo lavoro svolto finora dal leghista nel fronteggiare l’emergenza. Se il “modello Vo'” fosse stato applicato a livello nazionale oggi parleremmodi un’altra storia, certamente meno tragica. Sì, è vero che i tamponi costano, che probabilmente esaminare milioni di italiani sarebbe stata un’impresa: ma lo è pure che un test costa 30 euro, una persona in terapia intensiva circa 3000 euro al giorno. Fate voi il conto. Zaia a Vo’ ha deciso per un approccio ferreo, ha capito che mappare il contagio significava individuare gli asintomatici e isolarli, bucare le ruote del virus, che non è imbattibile e che infatti si è sgonfiato. Bravo, punto.

ATTILIO FONTANA, governatore della Lombardia – E’ stato criticato in lungo e in largo per aver deciso di indossare una mascherina in diretta Facebook quando una sua collaboratrice era risultata positiva al coronavirus. Il tempo, purtroppo, è stato galantuomo. Alla fine aveva ragione Fontana: meglio assumere tutte le precauzioni del caso, meglio comunicare un messaggio di attenzione e pericolosità del virus, che lanciare hashtag illusori e dannosi come #milanononsiferma. La verità è che la Regione Lombardia ha ragione: a Roma faticano a comprendere la gravità della situazione. Non è un peccato di presunzione, ma lo scotto da pagare per chi non vive nelle corsie degli ospedali lombardi, per chi le immagini dei feretri trasportati dai carri militari le ha viste soltanto in tv, come un’immagine lontana, di un altro mondo. Le richieste di “chiusura totale” che Fontana invoca da tempo sono state infine recepite a Roma, con il ritardo fisiologico (ma grave) con cui il governo fa i conti fin dal principio di questa crisi: senza mai riuscire a colmare il gap con questo virus maledetto, lasciando sul campo vite umane che avrebbero potuto essere messe in salvo. Fontana, allora, ad un certo punto ha deciso di mettersi in proprio: ha deciso come Regione di diventare il pubblico che chiede l’aiuto del privato. Le donazioni milionarie di Berlusconi, Caprotti, altri imprenditori, sono l’emblema di questa collaborazione. La ciliegina sulla torta è stata la chiamata dall’Africa di Guido Bertolaso, il campione delle emergenze tenuto in disparte per ragioni politiche. La sua mano si vede già: tra una settimana dovrebbe essere pronto il primo modulo dell’ospedale in Fiera, 250 posti letto di terapia intensiva che daranno ossigeno non solo ai malati ma anche all’intero servizio sanitario regionale, per ora, e in prospettiva (speriamo di no) anche a quello nazionale. Fontana sta agendo con rispetto per il governo, ma prima e meglio del governo.

VINCENZO DE LUCA, governatore della Campania – C’è un motivo se il suo soprannome è “sceriffo”. Definizione conquistata sul campo di battaglia, a colpi non di lanciafiamme, attenzione, ma di ordinanze, restrizioni, misure draconiane, quelle sì. Il presidente di Regione non è uno stinco di santo, non è perfetto, in passato si è reso protagonista di scivoloni non da poco. Ma dalla sua in questa emergenza ha almeno due fattori: l’esperienza, lo stile. Da ex commissario della Sanità campana, Vincenzo De Luca conosce meglio di chiunque altro le pecche del sistema regionale. Per questo, quando gli hanno chiesto perché non nominasse un supercommissario “alla Bertolaso” ha risposto nell’unica maniera davvero possibile: “Qui servirebbe Padre Pio“. De Luca è un accentratore, pensa di essere l’unico in grado di gestire l’emergenza coronavirus in Campania. Brutto a dirsi, ma forse ad oggi è davvero così. Le chiusure dei comuni potenziali focolai del virus sono state criticate da alcuni costituzionalisti, ma meglio una slabbratura istituzionale che migliaia di morti. Non sappiamo quanto possa durare il getto del lanciafiamme di De Luca, ma sappiamo che vederlo in strada, redarguire i passanti “alla Decaro”, è uno spettacolo. Come il suo ghigno, il suo piglio, il suo sguardo truce. Se finora la Campania ha retto lo deve a lui, allo sceriffo. Basta questo.

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