Aprile 16, 2020

Pecunia non olet. Il Mes neanche

La politica italiana si è ficcata in un imbuto dal quale difficilmente riuscirà ad uscire senza farsi del male. Se la parolina MES ha sostituito le discussioni telefoniche – purtroppo al bar non possiamo più andare – che un tempo erano riservate ad un’altra parolina di tre lettere VAR (ah, quanto ci manca il calcio) allora significa che la situazione è veramente grave (ma non seria).

Che l’opinione pubblica italiana abbia rivisto le sue priorità, mostrando interesse per la politica, è un bene. Ma che l’opinione pubblica italiana si divida in fazioni pronte a fare del MES una spartiacque ideologico, questo non solo è incomprensibile, ma è anche senza senso.

La questione, nella sua apparente complessità, è invece ben più semplice di quanto alcuni (per proprio tornaconto) vogliono far sembrare. La riassumo in 10 domande fornendo le risposte che credo più di buon senso.

1) Il MES è un’istituzione europea che presta soldi? Sì.
2) I tassi di interesse con cui presterebbe questi soldi sono più bassi dei normali tassi di mercato? Sì.
3) Se accettassimo il MES avremmo accesso a 36 miliardi di euro circa? Sì.
4) Verremmo privati della sovranità nazionale se decidessimo di investire questi 36 miliardi di euro in spese sanitarie dirette e indirette? No.
5) Questo debito dovremo in qualche modo ripagarlo? Sì.
6) Sarebbe lo stesso anche per qualsiasi altra forma di debito? Sì.
7) Prima del coronavirus avremmo fatto i salti di gioia per aderire al Mes? No.
8) Ad oggi siamo in grado di “fare da soli”? Sì.
9) Ci conviene fare da soli? No.
10) Stanti così le cose ci conviene prendere i soldi del MES? Sì.

Con buona pace di Conte, Salvini e Meloni, a loro modo tutti perdenti comunque vadano le cose: il premier impiccatosi in diretta nazionale con quel “Mes no, Eurobond sicuramente sì” che per lui si rivelerà un boomerang; i due sovranisti troppo presi dalla foga di gridare ad un tradimento che non c’è mai stato per spendere un po’ di tempo a studiare le carte ed evitare brutte figure.

Sarebbe bastato ripescare almeno i libri di storia. Quella Storia (con la S maiuscola) che in questi giorni troppe volte viene citata a sproposito. Racconta Svetonio, che l’imperatore Vespasiano decise un giorno di tassare gli smacchiatori di vestiti che usavano i bagni pubblici per raccogliere l’urina che serviva loro a ricavare l’ammoniaca. In risposta alle critiche del figlio Tito, Vespasiano tirò fuori una moneta e pronunciò parole destinate a diventare famose: “Pecunia non olet”. I soldi non puzzano. Neanche il MES puzza.

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