Aprile 23, 2020

Cosa (non) aspettarsi dal Consiglio Europeo

Oggi non è l’11 luglio 1982. L’appuntamento non è allo Stadio Santiago Bernabeu per le ore 20. E no, l’Italia non vincerà 3 a 1 la finale del campionato del mondo di calcio grazie ai gol di Paolo Rossi, Marco Tardelli e “Spillo” Altobelli. Eppure l’attesa per il Consiglio Europeo in programma alle 15 a Bruxelles ricorda lontanamente quei grandi appuntamenti in cui tutto il Paese si ferma. Con qualche sostanziale differenza: l’Italia si è fermata da quasi due mesi per il coronavirus; e anche in caso di clamoroso successo di Giuseppe Conte non scenderemo in strada a festeggiare avvolti dal tricolore.

Il motivo principale è che la politica è una cosa bella ma complicata. I risultati di una trattativa tra 27 Stati, poi, non sono sempre quelli che potremmo sperare. E allora perché questa grande attesa? Un po’ perché è stato lo stesso governo – sbagliando – ad alzare le aspettative rispetto al vertice di oggi. E un po’ perché diventa via via sempre più chiaro che l’Europa non ha più molto tempo per affermare la sua indispensabilità politica. Eppure è bene ribadirlo: il gap tra utilità dell’istituzione e comunicazione del risultato non sarà colmato neanche oggi. Come milioni di cittadini europei ignorano i progetti finanziati dall’UE, anche per questo Consiglio Europeo non sarà facile comprendere la portata degli obiettivi raggiunti, almeno non nell’immediato. Il motivo è che oggi non sarà possibile raggiungere un accordo su tutta la linea, viste le divergenze manifestate dai diversi Stati membri alla vigilia del summit.

Anche se dovesse essere raggiunta un’intesa di massima sugli strumenti da opporre alla crisi economica causata dal coronavirus, poi, questa non sarà la manna dal cielo che milioni di italiani (ed europei) aspettano di veder cadere da oggi a domani. Nella migliore delle ipotesi il pacchetto da 500 miliardi di euro concordato dall’Eurogruppo – Bei, Sure e Mes – sarà operativo a partire dal 1° giugno. E il Fondo per la Ripresa (Recovery Fund) con cui la Commissione Europea dovrebbe garantire i cosiddetti “Recovery Bond” per la mutualizzazione dei debiti futuri (solo quelli) difficilmente si attiverà prima dell’estate, a voler essere ottimisti. Scordiamoci allora i coronabond, ovvero una condivisione del debito passato, presente e futuro.

Insomma, alla fine del Consiglio Europeo di oggi non vedremo Mattarella nei panni di un incontenibile Pertini. E quello di Conte non assomiglierà neanche vagamente all’urlo di Tardelli.

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