Aprile 27, 2020

Il populismo della prudenza

Tra il populismo di Matteo Salvini, che invoca la piazza (sì, avete capito bene: la piazza, durante una pandemia) e la Fase 2 che sa tanto di Fase 1 di Giuseppe Conte, esiste una via di mezzo che la Politica dovrebbe trovare. Se il leader della Lega non perde occasione per dimostrare l’innata capacità di passare dalla parte del torto anche quando potrebbe avere qualche ragione, dal canto suo il Presidente del Consiglio fa sfoggio di un altro tipo di populismo: il populismo della prudenza.

Utilizzando uno schema ormai consolidato, il dottor Conte spiega agli italiani che le riaperture solo graduali sono una misura necessaria a garantirne la sicurezza. Come un luminare di medicina, il premier/primario garantisce sul fatto che questa terapia faticosa porterà i suoi frutti. E gli italiani pazienti – in tutti i sensi – si dicono per la maggior parte disposti ad ingoiare una pillola amara, visto che il dottore dà per certa la guarigione. In questo patto più o meno silenzioso si cela però se non un inganno quanto meno un fraintendimento. Il medico ci fa capire che restando chiusi in casa non ci ammaleremo. E su questo, con ogni probabilità, ha ragione. Ciò che non dice è che ad un certo punto, che siamo guariti oppure no, la terapia verrà sospesa.

Tradotto: oggi le misure di confinamento proseguono, tra 20 giorni saranno quasi sicuramente allentate, e poi sospese, perché “ce lo chiede l’economia“. Sorge allora spontaneo un quesito? Messa difficoltosamente alle spalle la crisi sanitaria, tornati gli ospedali a disposizione della collettività, che senso ha ritardare l’inizio della fase di “convivenza” con il virus? Perché non consentire a migliaia di lavoratori, in particolare al Centro-Sud dove il coronavirus è stato meno violento, di “provare” a ripartire in condizioni di sicurezza?

Non parlare con chiarezza agli italiani oggi, non dire che il virus economico sarà temibile quanto (se non più) quello sanitario, è esercitare un’altra forma di populismo. Più subdola, perché velata dall’urgenza più cogente di tutelare la salute degli italiani, ma non meno grave dal punto di vista della sostanza.

In un mondo ideale questa pandemia non ci sarebbe mai stata. In un mondo migliore ogni Stato avrebbe avuto le risorse per aprire il rubinetto e fornire liquidità sufficiente ad ogni individuo fino alla scoperta di un vaccino. Ma nel mondo reale fermarsi per sempre non è un’opzione: convivere con il virus è una necessità, ritardare il ritorno alla vita, o ad una sua parvenza, semplicemente non ha senso.

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