Aprile 29, 2020

La mascherina non diventi un bavaglio

Nei tanti punti stampa di ieri, Giuseppe Conte ha detto una grande verità: “Dall’inizio di questa crisi sono stato accusato un giorno di eccessivo decisionismo e il giorno dopo di troppa prudenza“. Verissimo, nulla da aggiungere.

Su questo blog stiamo tentando di mantenere un equilibrio: non è facile per chi sforna analisi, proposte, suggerimenti. Immaginiamo quanto sia difficile per chi le decisioni è chiamato a prenderle mettendoci la faccia. Questo per dire che il nostro primo pensiero al mattino non è cambiare premier e governo. Non siamo entrati in modalità Mario Giordano. Siamo e resteremo lontani anni luce dalle posizioni di Matteo Salvini (che poi, quali precisamente? “Aprire, aprire tutto” o “Chiudere, chiudere, serrare”?).

Dunque, se è vero che un rapporto del Comitato Tecnico Scientifico ha frenato da un “liberi tutti” è evidente che bisogna fidarsi. Noi da sempre affermiamo il primato della scienza e delle competenze: non siamo mai stati no-vax o alleati di chi sostiene che “uno vale uno”. Noi.

Eppure rispettare le decisioni politiche del governo non significa doverle per forza condividere. Come non condividiamo l’atto di terrorismo psicologico compiuto nel comunicare all’opinione pubblica il dato che ipotizza 151mila persone in terapia intensiva a giugno.

Attenzione: non perché non si debba avere paura del virus. Non perché non si debba temere una seconda ondata. Semplicemente perché nessuno chiede di tornare alla “vita di prima”. Quel dato esprime il ritorno ad una socialità fatta di contatti sfrenati, senza mascherine, guanti e distanziamento sociale (o fisico, come l’ha meglio definito Vittorio Colao). Esiste ancora qualcuno in Italia che crede si possa tornare alla spensieratezza dei mesi scorsi prima di un vaccino?

Compito di un cittadino è rispettare le leggi, ma è suo diritto porre domande e attendersi dalla politica delle risposte. Soprattutto quando si parla di una grande terapia di gruppo. Ebbene, noi al dottor Conte chiediamo perché non abbia utilizzato per il malato Italia la stessa cura adottata dai colleghi francesi e spagnoli. Se della medicina tedesca non ci fidiamo ritenendola troppo rischiosa va bene, ma davvero non riusciamo a comprendere perché non si sia scelto di intervenire in modo mirato. Restando in ambito medico: si è deciso di curare il mal di testa mettendo una pomata al piede.

Entrando nel dettaglio: il ministro Boccia sostiene che dal 18 maggio a fare testo saranno le differenze territoriali in termini di contagio. In Francia si distinguerà tra zone verdi e rosse a livello di rischio. In Spagna la situazione sarà monitorata dalla singole province. E noi? Lo Stato è indispensabile per coordinare la risposta all’emergenza, ma non può controllare la realtà del piccolo comune meglio di un sindaco. Allora perché, nelle Regioni del Centro-Sud dove il contagio è già ai minimi (magari si mantenesse così anche in autunno!), non si è potuto ricominciare a vivere e lavorare in condizioni di “sicurezza”? Nessun “liberi tutti”, piuttosto un “libero chi può”.

Questi quesiti sono rimasti inevasi. Per la riuscita di una terapia è necessaria la collaborazione del malato, la comprensione da parte sua dei rischi che derivano dall’indisciplina rispetto ai dettami del medico. A maggior ragione nel corso di una pandemia che lega il destino del singolo al comportamento individuale di ognuno. Attendiamo fiduciosi che il dottor Conte esponga la strategia di intervento a noi pazienti. Pazienti, sì, in tutti i sensi. La mascherina non diventi un bavaglio.

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