Maggio 10, 2020

Quanto costa un’italiana

Non mi importa se Silvia Romano arriverà a Ciampino col volto e i capelli coperti da un velo nero. Non mi interessa se tratta in salvo dalla nostra intelligence in Somalia ha deciso di non cambiarsi i vestiti. Se Silvia Romano ha deciso di convertirsi all’Islam non è affar mio, né dovrebbe esserlo dei tanti che in queste ore sui social commentano con malcelata delusione la notizia anticipata dal Corriere della Sera.

Come se l’essere diventata islamica facesse d’un tratto Silvia Romano meno italiana, una presunta terrorista, salvata peraltro non con un blitz delle forze speciali in un’azione spericolata degna di un film, bensì mediante il pagamento di un riscatto con soldi pubblici.

L’unica cosa di cui dovremmo preoccuparci in queste ore che separano Silvia Romano dalla sua famiglia è la sua salute: fisica e mentale. Dovremmo accertarci che la nostra connazionale non abbia subito violenze e torture, semplicemente che sia stata trattata bene, nell’accezione del termine che può applicarsi alle cure che un gruppo di jihadisti è in grado di offrire ad un ostaggio.

Una certa parte d’Italia, invece, non si smentisce. E chiede conto non solo del patentino d’italiana cattolica, meglio se praticante, di Silvia Romano. Ma anche che venga esibita regolare fattura dello scambio avvenuto dei terroristi. Senza dimenticare, ove possibile, di verificare come quei soldi verranno investiti dai terroristi. Auguri.

Sorprende, infine, che a sollevare maggiori obiezioni siano sovranisti o presunti tali. Quelli che per anni c’hanno raccontato che venivano “prima gli italiani”. Evidentemente solo alcuni, quelli decisi da loro.

Chiudo con un’ovvietà: se mi trovassi in un angolo sperduto del mondo, ostaggio in mano a spietati assassini, vorrei che lo Stato cercasse di salvarmi senza badare a spese. Lo stesso trattamento desidererei per un mio caro. Così è stato per Silvia Romano. Convertita o no che sia, costoso o meno che sia stato il suo rilascio, io oggi sono felice.

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