Giugno 10, 2020

Così l’Italia ha tradito Giulio Regeni

Nessuna sentenza di tribunale restituirà Giulio Regeni alla sua famiglia. Nessuna giustizia terrena farà veramente giustizia per un ragazzo di 28 anni trovato morto ammazzato in Egitto sul ciglio dell’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria. Il suo corpo nudo e martoriato, è stato offeso nella carne e non solo, svilito dalla politica e dall’opportunismo di due Paesi, Italia ed Egitto, che guardano a quel delitto come ad un fastidioso inconveniente nelle loro relazioni, un incidente di cui avrebbero fatto volentieri a meno per continuare a perseguire i loro obiettivi economici e geopolitici. Eppure ci sono momenti in cui la realpolitik, il pragmatismo, la logica degli affari, dovrebbero farsi da parte, un passo indietro o anche di più, lasciando spazio ad una merce quanto mai rara: la dignità.

Quasi cinque anni sono trascorsi dall’omicidio di Giulio Regeni: quasi cinque anni in cui dal Cairo non si è ottenuta quella trasparenza richiesta a più riprese dall’opinione pubblica italiana. In mezzo, decine di depistaggi e di ritardi: hanno tentato di far credere che Regeni fosse morto in un incidente stradale, hanno provato ad inscenare un’uccisione per un movente sessuale (così si spiega il fatto che Giulio sia stato trovato senza vestiti), hanno ucciso cinque probabili innocenti in uno scontro a fuoco per tentare di farli passare per i responsabili del delitto. Lo hanno seviziato, torturato per giorni, perché convinti che Regeni fosse una spia dei servizi segreti inglesi. Tutte cose che sappiamo grazie ai nostri investigatori, di certo non per la collaborazione dell’Egitto di Al Sisi.

Ora la notizia che l’Italia ha venduto all’Egitto due navi, le fregate classe “Fremm”, per un valore di 1,2 miliardi indigna la politica o una sua cospicua parte. Senza considerare che, stando alle indiscrezioni pubblicate da Repubblica ben prima della telefonata tra Conte e Al Sisi lo scorso 7 giugno, le navi in questione sarebbero soltanto l’acconto di una maxi-commessa senza precedenti: all’Egitto dovrebbero andare infatti almeno altre 4 fregate, più una ventina di pattugliatori navali, 24 cacciabombardieri Eurofighter e 24 aerei addestratori M346. Una transazione che nel complesso, secondo il settimanale panarabo The Arab Weekly, dovrebbe portare nelle casse italiane circa 10,7 miliardi di dollari.

Soldi freschi, che all’Italia farebbero certamente comodo, ma che rivelano tutta l’indole economicistica di un Paese che accetta di farsi comprare, di dimenticare un suo cittadino in cambio di denaro. Non si tratta di perseguire un idealismo sterile: piuttosto è lecito domandarsi se al mondo, per fare affari di questo tipo, vi sia solamente l’Egitto. Se non sarebbe più giusto, più normale, ottenere prima una forma di collaborazione sincera – o quanto meno non ostruzionismo – da parte del Cairo, e solo poi stringere accordi che infangano non tanto l’onore di Giulio Regeni, ma quello del nostro Paese agli occhi del mondo.

Hanno ragione i genitori di Giulio Regeni, papà Claudio e mamma Paola, quando dicono che “ogni volta che si chiude un accordo commerciale con l’Egitto, ogni volta che si certifica che quello di Al Sisi è un governo amico, tirano in ballo il nome di Giulio come a volersi lavare la coscienza“. Che sia di sollievo per loro sapere almeno una cosa: per quanto ci provano, non ci riescono.

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