Luglio 19, 2020

La partita di Giuseppe Conte: come capiremo se l’Italia ha perso

Fosse davvero Italia-Olanda, potremmo sempre sperare da un momento all’altro nel rigore (contro i rigoristi) del genio Francesco Totti. Nessuno però a Bruxelles pronuncerà la fatidica frase “Mo je faccio er cucchiaio“. Ma nella partita di Giuseppe Conte, c’è un confine labile che determinerà chiaramente la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Sua, ma soprattutto dell’Italia.

Molto più della quantità di emolumenti riservati al Belpaese nell’ambito del Recovery Fund – che verrà approvato, prima o poi, perché così ha deciso la Germania nel pieno della pandemia – a fare la differenza sarà il meccanismo con cui sussidi e prestiti saranno erogati. Le richieste di sforbiciate nell’ordine delle centinaia di miliardi da parte dei Paesi frugali costituiscono un metodo di trattativa ben noto: la tattica consiste nell’alzare l’asticella delle pretese per giungere ad un compromesso accettabile (dal loro punto di vista). Tale impianto si scontra però con le necessità di cassa dei Paesi mediterranei e per questo non potrà passare. Più facile che salti l’intero tavolo, piuttosto.

La linea rossa che Conte non può tollerare, però, è che venga consentito al Consiglio Europeo di controllare come i soldi del Recovery Fund verranno spesi dall’Italia. Questa non sarebbe una troika, ma le assomiglierebbe molto. Darebbe carburante alla retorica sovranista di un’Europa matrigna e intenta a commissariare l’Italia. Il premier non può accettare un simile compromesso al ribasso. Non solo, come ha evidenziato lui stesso, perché l’ipotesi di un “freno d’emergenza” – di fatto un diritto di veto – non è compresa dai Trattati (del resto come ha fatto notare l’olandese Rutte in una situazione eccezionale come questa bisogna “essere creativi”), ma perché questo significherebbe mettere nero su bianco il non detto che tutti sanno da Bruxelles a Roma: l’inaffidabilità dell’Italia. Se è vero che siamo i primi a conoscere i nostri difetti, altra cosa è far sì che questi diventino terreno di negoziazione.

Certo, al di là dell’apprezzabile piglio del premier, si può dire senza temere di passare per i Salvini di turno – ovvero quelli che tifano per il fallimento del proprio Paese per proprio tornaconto – che il nostro governo ha fatto ben poco per presentarsi con le carte in regola all’appuntamento decisivo. Il Piano Nazionale delle Riforme scritto sull’acqua e senza alcuna condivisione con le opposizioni (chi assicura agli altri Stati membri che ciò che dice Conte a nome dell’Italia resti valido anche in caso di cambio di governo?) è un esempio lampante dell’improvvisazione italiana. Ma ancora più grave è l’errore tattico che Conte non ha avuto la forza politica di evitare: la mancata attivazione del Mes.

Abbiamo chiesto il Recovery Fund lamentando la situazione emergenziale della nostra economia. Abbiamo chiesto di fare in fretta perché tempo non ne abbiamo. E dall’altra parte è sorto spontaneo un quesito: perché se avete tutta questa fretta non usate il Mes? Domanda legittima, che giustifica il sospetto straniero che a Roma vogliano soldi per usarli in mance elettorali e simili. Per quanto antipatica e strumentale, la posizione dell’olandese Rutte si poggia sulle nostre contraddizioni. Alla fine rischiamo di finire con meno soldi dal Recovery Fund e con un’attivazione del Mes che rischia di essere interpretata dai mercati come la mossa della disperazione di un Paese con l’acqua alla gola.

Speriamo che Conte venga illuminato nel percorso che lo separa dalla metà campo al dischetto del rigore. Non gli chiediamo un cucchiaio, va bene anche sbucciare la palla: purché gonfi la rete.

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