Settembre 2, 2020

Vinci pure questa, Silvio

Se è vero che Silvio Berlusconi è l’arcitaliano, l’incarnazione vivente delle virtù e dei vizi del popolo dello Stivale, era scontato e inevitabile che il coronavirus avrebbe prima o poi bussato alla proteina spike di una qualche sua cellula, al recettore che consente al nemico invisibile di questo maledetto tempo di insinuarsi nel corpo umano.

Non sarebbe stato degno della storia di Berlusconi, che di questo Paese è stato emblema per un ventennio (piaccia o meno, è così), se finita la pandemia, trovato il vaccino, superato lo spavento, il Cavaliere fosse rispuntato in un salotto tv, agitando i suoi soliti fogli ripiegati, senza nemmeno un’influenza, una febbricola, una scoria della sofferenza che l’Italia ha scontato.

Lo diciamo ora, col sorriso sulle labbra, perché rassicurati dalle parole del suo medico Zangrillo, dal comunicato forzista che lo descrive al lavoro e intento a guidare la campagna elettorale per le Regionali. Lo scriviamo oggi, in risposta ai tanti che lamentavano la “fuga” del Cavaliere a Nizza nel pieno del contagio: assurdo, per loro, che un 83enne sfruttasse la possibilità di godere di un riparo dalla tempesta virale in atto. Lo chiediamo forte, dopo la notizia che Berlusconi ha il coronavirus: contenti ora?

L’uomo di Arcore è abituato a lottare. Con diversi malanni ha fatto i conti più e più volte. Come se il corpo del leader, quello che lui stesso ha speso dal 1994 ad oggi per giocarlo in funzione delle sue battaglie, gli lanciasse periodicamente un messaggio chiarissimo: “Silvio, a questi ritmi non reggo: altro che vivere fino a 120 anni…”.

Nel 1997 un cancro alla prostata, tenuto nascosto tre anni. Nel 2006 l’installazione di un pacemaker, nel 2013 il problema agli occhi, le foto con gli occhiali scuri da “padrino” che ancora oggi ispirano i social. Nel 2016 la grande paura: uno scompenso cardiaco porta i medici del San Raffaele a dire che “Berlusconi ha rischiato la vita, ha rischiato di morire”. Poi il 2019, la volta in cui un’occlusione intestinale porta il Cavaliere a guardare la morte negli occhi: “Ho avuto paura di essere arrivato all’ultimo girone”. Adesso il coronavirus: “Mi è successo anche questo, ma continuo la battaglia”, commenta lui, amaro, poco dopo la notizia della sua positività.

Positività, appunto: nel vocabolario del berlusconismo ne esiste una sola accezione, nulla a che vedere con la sfera virologica. Piuttosto un modo di essere, di guardare al futuro con ottimismo. Sempre e comunque. Anche stavolta, anche contro un nemico invisibile, difficile da artigliare per un vecchio leone. Ma pur sempre un leone. Vinci pure questa, Silvio.

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