Ottobre 5, 2020

Trump e il virus: manuale di campagna elettorale per candidati infetti

Donald Trump sta meglio e nella più rosea delle ipotesi potrebbe essere dimesso addirittura oggi. Lo ha detto il suo medico, Sean P. Conley, un dottore che nelle ultime ore non ha certo brillato per onestà e chiarezza, ma ci sono buone ragioni per pensare che in questo caso le informazioni rilasciate dall’osteopata della Casa Bianca siano attendibili.

I problemi di salute di Trump sono stati in parte nascosti, in parte minimizzati. C’è chi si sconvolge per la mancanza di trasparenza sulle condizioni dell’uomo più potente della Terra, la verità è che essere il “comandante in capo” degli Stati Uniti comporta delle conseguenze. Prima di fare sprofondare nel panico una nazione ci si pensa due volte, almeno.

Quando Trump è arrivato al Walter Reed Medical Center non era ancora “out of the woods”, fuori dal bosco, come dicono gli americani per dichiarare una persona “fuori pericolo“. Queste sono le ore decisive per considerare The Donald se non guarito quanto meno sulla strada per esserlo. Si tratta di una buona notizia: anche per chi non ama le sue politiche (come chi scrive), anche per quella parte d’America e di mondo che ha esultato alla notizia del contagio invocando il karma.

Trump e la campagna elettorale da infetto

Qualcuno, subito dopo la notizia del contagio di Trump, ha invocato la sospensione della campagna elettorale da parte dei Democratici. Si tratta di “fair play“, dicevano. Non si vede perché Biden – che già aveva fatto ritirare tutti gli spot negativi sul presidente – avrebbe dovuto scegliere di penalizzare se stesso quando i Repubblicani nel frattempo non solo sguinzagliavano il vice Mike Pence e la figlia di Donald, Ivanka, ai quattro angoli d’America, ma soprattutto utilizzavano la degenza in ospedale di Trump come formidabile occasione per fare campagna elettorale.

Sabato Trump aveva pubblicato su Twitter un video di 4 minuti, un messaggio rivolto in particolare agli avversari interni e ai nemici esterni dell’America. Ieri il salto di qualità: Trump, scravattato come sempre, pubblica su Twitter un video di un minuto in cui ringrazia i suoi sostenitori. Ce ne sono a migliaia all’esterno dell’ospedale, pronti a fare il tifo per lui. Ma osservate bene il suo volto: non è più tirato come quello in cui annunciava il suo ricovero, ha anche riacquistato parte del suo proverbiale colorito arancione. E le braccia, le mani: le movenze sono quelle di sempre, se possibile più accentuate. Trump vuole comunicare forza, benessere, ottimismo: sorride, è disteso, spiega che “ho imparato molto sul Covid, questa è la vera scuola, non è la scuola del ‘leggiamo i libri’“.

Trump fa Trump, porta scompiglio, improvvisazione, spettacolo.

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1312864232711520257?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1312864232711520257%7Ctwgr%5Eshare_3&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.nytimes.com%2F2020%2F10%2F04%2Fus%2Fpolitics%2Ftrump-virus.html

Il colpo di teatro lo porta all’esterno dell’ospedale: sale su “the beast“, la bestia, la macchina presidenziale super-blindata che si incammina su una strada transennata, sui cui marciapiedi sventolano bandiere americane e ali di folla urlano “four more years“, altri 4 anni. Trump, da dietro il finestrino, indossa la mascherina (e menomale!) e alza il pollice: come dire, “sto bene“. E sono qui tra voi. Con voi.

Non sappiamo come andranno le elezioni, e questo blog continua a credere che Joe Biden sarebbe un presidente migliore per gli americani e per i cittadini di tutto il mondo. Ma a Donald quel che è di Donald. La malattia avrebbe segnato il capolinea della campagna di qualsiasi candidato, a maggior ragione quella di un presidente che ha sottovalutato una pandemia, con oltre 200mila americani morti, di un uomo che ha rifiutato ogni forma di precauzione (sbagliando clamorosamente) e che ha finito per ammalarsi a sua volta. Ma le regole tradizionali del buon senso e della politica, applicate a Trump, non valgono. È la lezione del 2016, forse anche quella del 2020.

Il film della corsa alla Casa Bianca vive un nuovo capitolo, un altro colpo di scena che evita di rendere il finale scontato. Per chi ama l’America e la politica è davvero difficile chiedere di più.


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