Ottobre 14, 2020

Nessuna “svolta moderata” farà di Salvini un moderato

La principale qualità di Matteo Salvini non è la coerenza. L’esempio più lampante di ciò, il leader della Lega, lo ha fornito all’Italia nei giorni della prima ondata.

Da “aprire, aprire” a “chiudere, chiudere tutto“, andata e ritorno, è stato un attimo. Ma quando non è la coerenza ad animare le sue posizioni, può essere l’orgoglio, la presunzione di essere sempre e comunque nel giusto, il puntiglio opposto alla realtà che muta e smentisce i convincimenti di ieri, a far sì che Salvini resti ancorato alle sue idee.

Nelle settimane in cui i giornali riportano retroscena e propositi di “svolta moderata” e/o europeista della Lega e del suo leader, la cronaca appare diversa da quella che anche una parte (cospicua) del Carroccio vorrebbe dipingere. Per intenderci: Matteo Salvini non sarà mai e poi mai Giancarlo Giorgetti. E viceversa. Il primo non avrà mai la sensibilità e il fiuto politico del secondo. Il secondo non avrà mai le qualità di capopopolo che servono a fare il candidato premier di un partito che, nonostante il calo recente, risulta ancora oggi il preferito dagli italiani. Eppure il tour europeo che ha segnato la tregua fra i due dopo settimane di manifesta freddezza segnala la sopraggiunta consapevolezza di Salvini che senza buoni uffici in Europa – piaccia o meno – l’Italia non si governa.

Tra Salvini e Giorgetti c'è di mezzo l'Europa - La Stampa

A proposito della sensibilità politica di Giorgetti, è un difficoltoso lavoro di ricamo quello con cui l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio spiega che la Lega era sì “per uscire dall’Euro ma, ora che siamo dentro, uscire è complicato. Dobbiamo fare gli interessi nazionali in Europa“. Sono parole doppiamente significative: da una parte confermano che i timori degli europeisti italiani su un’avanzata della Lega erano fondati; dall’altra segnalano l’intenzione di uniformarsi ad uno scenario stravolto dalla pandemia. Per dirla con le parole di Giorgetti: “Il mondo cambia e cambiamo pure noi“.

Nessuno si illuda, però, di svegliarsi domani con un Salvini moderato ed europeista. Alla fatica di accreditarsi come un interlocutore credibile nelle cancellerie europee si aggiunge infatti il problema di cui sopra: l’indisponibilità a sconfessare le proprie posizioni finendo per esporsi al pubblico ludibrio. Per usare un esempio pratico: quale sarebbe la prova di un avvenuto ravvedimento di Salvini sulla via di Bruxelles? Magari il sì al Mes, mossa che peraltro avrebbe come primo effetto quello di far implodere le contraddizioni nella maggioranza Pd-M5s. Ma Matteo l’orgoglioso, di ammettere “urbi et orbi” che quei 37 miliardi di euro da spendere in sanità all’Italia servono eccome, proprio non vuole saperne. Piuttosto preferisce continuare a proporre idee impercorribili o dannose, come quella di finanziare il debito con i buoni del tesoro solo per italiani.

Non è tanto, dunque, l’amicizia con Marine Le Pen, né la fedeltà al gruppo europeo di “Identità e Democrazia“, a caratterizzare la parabola politica di Salvini e di conseguenza quella leghista. Piuttosto sono idee e convincimenti, prese di posizione e indole personale. Stupisce allora che a credere nel potenziale “liberale” del leader del Carroccio sia uno degli ideologi di Forza Italia, l’ex presidente del Senato Marcello Pera. E non perché Salvini sia uno stupido, ma semplicemente perché non ha nelle sue corde le qualità che servono per diventare punto di riferimento della maggioranza silenziosa degli italiani: che non è né di sinistra né sovranista.

A meno che, tra un tweet e un selfie, a Salvini non capiti tra le mani Il Principe di Niccolò Machiavelli. Il Capitano finirebbe per scoprire che l’uomo politico che ambisca a governare dev’essere flessibile nella sua strategia, senza affezionarsi troppo ad un solo copione: pena l’inciampo in una situazione che ne provocherà la rovina. Perché una tattica rivelatasi vincente in un determinato contesto non è garanzia di successo anche in futuro. Come pure, purtroppo per Salvini, è vero che tanto difficile è dire addio ad una strategia che si addice al nostro carattere e che ci ha fatto sempre trionfare, almeno fino ad un certo punto.


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