Dicembre 7, 2020

Conte ora ci dica cosa gli ha detto Al Sisi

Più e più volte, in questi mesi, Giuseppe Conte ha predicato calma sull’Egitto.

Quando gli schiaffi del Cairo sulla vicenda di Giulio Regeni apparivano così violenti da rendere inevitabile il ritiro dell’ambasciatore italiano, o quanto meno il richiamo per consultazioni, l’inquilino di Palazzo Chigi ribadiva: cautela, prudenza, pazienza.

Quando gli atti delle procure egiziane sfociavano in un affronto bello e buono nei confronti della memoria del ricercatore italiano ucciso, quando offendevano i suoi genitori, sempre dignitosi ma ormai stanchi di ascoltare parole vuote, Conte ostentava il convincimento che il dialogo con Al Sisi avrebbe portato presto i risultati sperati. Nessuno li ha visti.

E d’altronde anche chi gli suggeriva un approccio più vigoroso nei rapporti con l’Egitto non poteva certo disporre degli strumenti dell’avvocato del popolo per valutare se fosse o meno il caso di imprimere un’accelerazione sul fronte diplomatico. Era ed è soltanto Conte che alza il telefono e parla col generale Al Sisi: lui solo conosce il contenuto di quelle conversazioni, i dettagli di quei colloqui. Noi tutti, però, possiamo vedere che nessuna delle belle promesse si è ancora tramutata in realtà.

L’ultimo schiaffo egiziano, dopo tante speranze italiche, è quello sulla vicenda Patrick Zaky. Lo studente dell’università di Bologna è dal 7 febbraio rinchiuso nelle carceri egiziane: dieci mesi oggi. In questa triste ricorrenza un giudice ha respinto l’istanza della difesa del giovane, che ne aveva chiesto l’immediata scarcerazione. Per almeno altri 45 giorni Zaky resterà dietro le sbarre. Il motivo? Dieci post di un account Facebook che i suoi legali reputano fake ma che gli sono costate l’accusa di “diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Rischia fino a 25 anni di carcere.

E il governo? Muto. E Conte? Pure.

Adesso, dopo questa ulteriore vana attesa, dopo così cocenti promesse infrante, è ora che il premier assuma una posizione pubblica sui casi Regeni e Zaky. Il ché significa aggiungere dell’altro alle espressioni di dispiacere e comprensione del dolore delle famiglie di questi ragazzi. Il tempo della fiducia a scatola chiusa è scaduto: Conte ci dica cosa gli ha detto il generale Al Sisi. E perché mai dovremmo continuare a credergli.


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