Gennaio 20, 2021

Conte vince al pallottoliere, ma “la politica è altrove”

Alle 20:44 di una giornata infinita Matteo Salvini guarda verso i banchi della maggioranza e dice: “Vedo un po’ di nervosismo, siete un po’ meno convinti di portare a casa la poltrona?“.

E’ questa la frase che svela il sogno del Matteo leghista. Salvini ad un certo punto ci crede, annusa aria di rivincita: sa che tre ex grillini del Misto non solo non daranno la fiducia a Conte, ma addirittura voteranno con l’opposizione. E’ un doppio colpo che può sancire il clamoroso ribaltone.

Sui suoi parlamentari d’altronde non nutre dubbi. Lo stesso dicasi per quelli di Giorgia Meloni. E se Forza Italia, come dice, farà il suo, spera di poter coordinare con Italia Viva il blitz che impallina Conte.

Ma è su queste variabili che il piano di Salvini, stranamente meno chiassoso del solito nei giorni precedenti la resa dei conti in Senato, finisce per franare. Da Forza Italia si staccano in due, e neanche si può parlare di “soccorso azzurro”, perché la ferita è tale e inattesa che Tajani annuncia l’espulsione dei due traditori mentre la votazione è ancora in corso.

E poi c’è l’altro Matteo, Renzi, che la partita l’ha giocata sul filo della tensione per tutta la giornata, sperando di tirare fuori il coniglio dal cilindro all’ultimo secondo, ma alla fine i numeri per buttare giù Conte non li ha avuti.

Quando si legge il risultato della votazione, infatti, l’illusione ottica porta a vedere in controluce nei 156 sì al governo e nei 140 no dell’opposizione la differenza dei 16 astenuti di Italia Viva. E col pareggio in Senato il governo cade.

Dietro la realtà aritmetica, però, ce n’è un’altra di stampo politico: Renzi il suo gruppo non lo controlla tutto. Ha atteso la seconda chiama per contare: per vedere se sarebbe bastato aggiungere ai No i voti dei senatori che gestisce per portare a casa una vittoria clamorosa, tanto erano stati imponenti gli sforzi del blocco governista.

Ma alla fine anche il senatore di Rignano ha dovuto arrendersi, prendere atto che la migliore opzione del giorno era un pareggio con perdite, caratterizzato da qualche amarezza. Come quella di aver visto, ad esempio, il socialista Nencini muoversi come un Ciampolillo qualunque: arrivare scientemente in ritardo per vedere da che parte tirava il vento e poi scegliere il carro sul quale salire, così dimostrando di aver apprezzato i vezzeggiamenti del premier, che in Aula lo aveva definito un “fine intellettuale”. Contento lui…

Già, il premier. L’esito della votazione al Senato dice che Conte è scampato indenne ad un agguato. Ma il capo di un governo non può muoversi con la leggerezza tipica di un leader dell’opposizione. Non può vivere insomma alla giornata, pensare “è andata bene oggi, da domani si vedrà”. Deve pianificare, “costruire”.

Invece i “costruttori” invocati per giorni sono apparsi soltanto isolati “disponibili“. L’aiuto chiesto in Aula è apparso nitidamente uno scouting di Parlamercato, con senatori citati ad uno ad uno, pubblicamente blanditi, corteggiati, in un atteggiamento che ha fatto rimpiangere l’epoca dei responsabili. In assenza di una prospettiva politica, di numeri certi in Aula e nelle commissioni, Conte ha solamente comprato tempo, come un Conte La Qualunque.

I prossimi giorni saranno quelli in cui tenterà di giocarselo: magari accogliendo nuovi ministri come fossero figurine da incollare sull’album di Palazzo Chigi, oppure allargando l’appello a “liberali, popolari, socialisti, democratici” anche ad altre categorie della politica dimenticate, addirittura inventate. Non si sa mai.

In questo spettacolo onestamente di qualità scadente, il bilancio è duplice: numerico e politico. Conte ha giocato e vinto la partita del pallottoliere. Ma riecheggiano come un memento, comunque la si pensi sulla crisi, le parole pronunciate in Aula da Matteo Renzi, citazione di un grande democristiano come Mino Martinazzoli: “La politica è altrove“.

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