Febbraio 17, 2021

Perché l’intergruppo Pd-M5s-Leu è un atto ostile verso Mario Draghi

Come due innamorati non hanno necessità di un anello per dirsi certi del loro sentimento, così tre partiti che hanno appena governato insieme e sostengono di volerlo fare di nuovo in futuro non hanno bisogno di un intergruppo in Senato per mostrare la loro unità d’intenti.

La mossa annunciata ieri dai capigruppo Licheri (M5s), Marcucci (Pd) e De Petris (Leu) ha dunque una valenza che non può limitarsi ad un’interpretazione notarile, come la certificazione che attesta la sintonia dei tre partiti.

Più che a guardarsi dentro, a garantire che la coalizione non andrà dispersa nelle maglie larghe dell’esecutivo Draghi, l’intergruppo è un messaggio rivolto all’esterno. Lo si intuisce chiaramente dalla formula utilizzata nella nota che ha annunciato la nascita del coordinamento tra gruppi, descritto come “la costituzione di un intergruppo parlamentare che, a partire dall’esperienza politica del governo Conte II, promuova iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese”. Messaggio ampolloso, intriso di retorica, in cui il succo è l’inciso tra le virgole, quello in cui si annuncia come piattaforma di partenza l’esperienza del governo giallorosso.

Sequel dell’hashtag #AvantiConConte vomitato online nell’incredulità della crisi aperta da Renzi, antipasto di una forma edulcorata di governo ombra a guida Conte, cabina di regia parallela ad un esecutivo che ancora attende di ricevere la fiducia in Parlamento e già si vede commissariato dall’ex maggioranza.

Non è un caso che proprio Conte plauda alla nascita dell’intergruppo parlando di “iniziativa giusta e opportuna“, mancando di definire però per chi sia giusta e opportuna, se per il Paese o per lui soltanto.

Mossa legittima soltanto dal suo punto di vista e forse da quello dei grillini, difficile invece da comprendere da parte del Pd, deciso a ritirarsi dalla politica, a fare della subalternità al MoVimento 5 Stelle il leitmotiv della sua esistenza. Inseguendo improbabili chimere, ancora recriminando (si veda l’intervista di Nicola Zingaretti a Carta Bianca) sulla mancata nascita di “una maggioranza politicamente più omogenea“. Così dimostrando di aver frainteso – si spera in maniera colposa, se sincera sarebbe grave – l’appello all’unità nazionale rivolto alle forze politiche dal presidente Mattarella.

Nello stupore di chi ancora nel Pd sa pensare in termini politici, ad esempio Matteo Orfini, e sottolinea che la scelta di costituire un intergruppo “non è stata discussa nei gruppi e negli organismi“. Tradotto: trattasi di mossa paracadutata dai vertici, blindatura del proprio campo, conventio ad excludendum, messaggio di traverso anche a quanti – come Renzi e Calenda – guardano all’idea di un centro-sinistra depurato dal grillismo: non lo avranno, #AvantiConConte è la replica in forma di tweet.

La conseguenza politica sarà la plastica contrapposizione con il centrodestra di governo: faglia in cui tenta di inserirsi abilmente Meloni, proponendo già da subito un intergruppo con Forza Italia e Lega, per bilanciare l’iniziativa a sinistra, prodromo di una balcanizzazione costante nell’azione dell’esecutivo.

Per questo la sortita di Pd, M5s e Leu va letta per ciò che è: un sabotaggio in piena regola, il primo vero atto ostile nei confronti di Mario Draghi.

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