Luglio 11, 2021

L’ira di Conte, Draghi costretto a smentire le dimissioni

Ancora imbufalito, irato, per essere stato di fatto ignorato da Mario Draghi la sera del Cdm sulla riforma Cartabia, Giuseppe Conte studia la sua eterna rivalsa.

In pubblico si affretta a negare ci sia acredine nei confronti del suo successore a Palazzo Chigi, ma in privato non manca di confidare ai suoi fedelissimi la delusione per l’atteggiamento riservatogli dal premier.

Si è sentito scavalcato, Conte. Riteneva “doveroso” che il presidente del Consiglio, per conoscere la posizione dei 5 Stelle, si premurasse di ascoltare non solo Grillo, ma telefonasse anche a lui. E rifiuta la realtà: quella che in tanti in queste ore, soprattuto tra i ministri M5S, hanno tentato di spiegargli. Ovvero che Draghi è rispettoso dei ruoli, che ad oggi Conte non ha alcun ruolo nel MoVimento, che la vera anomalia sarebbe stata proprio quella di un premier che telefona al suo predecessore per cercare un compromesso sulla giustizia a nome di un partito al quale non è neppure iscritto.

Il suo nervosismo si è tradotto allora in un fallo di reazione, in uno sgarbo istituzionale che ha portato lo staff di Palazzo Chigi a fare una delle rarissime smentite dal giorno dell’insediamento ad oggi. Inevitabile leggendo le veline che i contiani hanno fatto filtrare dopo la votazione favorevole dei ministri M5S alla riforrma Cartabia: “I nostri ministri si sono sentiti dire da Draghi che se non dicevano di sì alla riforma della prescrizione lui si sarebbe dimesso, Di Maio, Patuanelli, Dadone e D’Incà si sono spaventati e si sono piegati“.

Una narrazione dei fatti che Draghi non ha accettato. Non è questo il suo modo di condurre una trattativa. Non ha mai minacciato esplicitamente di salire al Quirinale. Semplicemente non ne ha bisogno. La sua sola presenza basta a chiarire che non è lì per tergiversare, temporeggiare. Com’erano soliti fare altri, peraltro.

Eppure questo spin dei contiani, con successiva smentita di Palazzo Chigi, segna l’ennesimo strappo nei rapporti tra l’ex premier e il suo successore. Persino Salvini, non certo famoso per essere un brillante stratega della politica, ha capito che “Conte farà di tutto per mandare a casa Draghi perché lo accusa di avergli rubato il posto“.

Forse in un primo momento, quello del passaggio di testimone, Conte era realmente convinto del fatto che quello dell’ex governatore della BCE avrebbe rappresentato soltanto un breve interregno tra un governo Conte e l’altro. Ma al di là dell’eleganza che Draghi ha mostrato in pubblico, del garbo riservato all’avvocato, tradottosi nella volontà di non sconfessare espressamente, a parole, il suo operato, è proprio la discontinuità interpretata da questo governo a fare del premier la naturale antitesi di Giuseppe Conte.

Metodo e risultati ottenuti sono troppo diversi, troppo favorevoli a Draghi, per far sì che Conte diventi un draghiano di stretta osservanza senza darsi la zappa sui piedi. Ci sarà da ballare, magari da far ballare (il governo), per non essere condannato all’irrilevanza.

Ecco perché tra i due le cose sono destinate a peggiorare. Soprattutto lato Conte, s’intende, già pronto a vestire i panni del sabotatore nei confronti della migliore speranza della Repubblica. Legge del contrappasso impronosticabile fino a pochi mesi fa, per l’uomo che promuoveva e presentava se stesso come nuovo statista d’Italia.

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