Draghi e il G20 da regista: una soluzione per l’Afghanistan passerà da lui
Se Boris Johnson si è premurato di convocare un G7 d’emergenza sulla situazione in Afghanistan, tutti sanno che l’evento cruciale per determinare gli esiti della crisi sarà quello a cui Mario Draghi ha preso a lavorare da giorni: il G20 di settembre.
Pur incontrando una certa ritrosia da parte americana ad allargare la discussione a potenze considerate ostili come Russia e Cina, il premier ha infatti rimarcato come le condizioni siano tali da rendere impossibile anche solo pensare di escludere dal tavolo attori regionali così influenti come Pechino e Mosca. Perorazione andata a buon fine.
Per quanto inaffidabili, infatti, il Dragone e l’Orso hanno entrambi ottimi motivi per contribuire a stabilizzare l’Afghanistan: da una parte il rischio, da evitare, di una saldatura tra Talebani e minoranza uigura dello Xinjiang; dall’altra la paura che nell’Emirato Islamico sorgano nuove cellule terroristiche pronte ad uscire dai confini afgani e a minare la tranquillità del vicinato russo.
Ecco perché l’occasione del G20 è per Draghi ideale per cercare di ottenere il migliore risultato possibile nelle condizioni date. Il ché significa ragionare su quali strumenti di pressione esercitare per condizionare la politica di governo dei Talebani, nel caso in cui questi decidano di tenere unicamente per sé il potere senza spartirlo con le minoranze moderate.
La leva giusta potrebbe essere quella finanziaria. Perché i Talebani avranno pure vinto la guerra, ma ora hanno di fronte un enorme problema: governare uno Stato fallito. Gli aiuti internazionali saranno dunque imprescindibili per evitare una crisi umanitaria che sembra attualmente terrorizzare l’Europa ben più della certezza che l’Afghanistan si appresti a diventare un nuovo santuario del terrorismo. In questo senso il G20 si rivelerà a maggior ragione decisivo, poiché servirà a porre le basi per un accordo volto a contenere l’ondata di profughi che certamente avrà origine nei prossimi mesi dall’Afghanistan a guida talebana.
Convinto che la pratica sia stata gestita in maniera a dir poco pasticciata, Draghi vestirà così i panni del regista nella riunione settembrina. Con Merkel al passo d’addio ed un Macron non così saldo all’Eliseo, il presidente del Consiglio italiano finirà per essere non solo padrone di casa, ma pure portavoce dell’Europa. Per la gioia di Joe Biden, bisognoso di alleati, ben oltre la special relationship del “solito” compagno di viaggio inglese, nel momento più difficile della sua presidenza.