Ottobre 6, 2021

“Così il cancelliere Kurz truccava i sondaggi per conquistare il potere in Austria”

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz è sospettato dalla Procura Anticorruzione (Wkstsa) di aver commissionato e falsificato nel 2016 alcuni sondaggi finanziati con soldi pubblici e diffusi dal tabloid “Österreich“. Si tratta ancora di un’indagine: Kurz è innocente fino a prova contraria, ma il teorema ipotizzato dagli investigatori è indicativo di un’epoca in cui la comunicazione ha preso il posto della politica.

Pensate: Kurz, allora ministro degli Esteri in Austria, coinvolge il ministero delle Finanze per ottenere 1,3 milioni di euro. Quella somma deve andare al gruppo editoriale “Österreich” affinché pubblichi sondaggi sfavorevoli nei confronti dell’allora capo dei Popolari, Reinhold Mitterlehner. L’obiettivo di Kurz è chiaro, secondo i magistrati: mettere in cattiva luce l’allora leader di partito e iniziare la propria scalata alla cancelleria. Già, peccato che quei sondaggi siano falsi, inventati di sana pianta.

La tattica è ingegnosa, ma non particolarmente originale: poggia infatti le sue basi su un fenomeno che i sondaggisti (quelli veri) definiscono “effetto bandwagon“. La migliore traduzione italiana in circolazione corrisponde ad uno degli sport più praticati alle nostre latitudini: salire sul carro del vincitore. Il sistema è collaudato: se vedi un determinato partito stravincere un’elezione o volare nei sondaggi sarai inconsciamente portato a sostenerlo a tua volta, a seguire il cosiddetto “istinto del gregge“, pur di trovarti dalla parte del vincitore.

La lezione che possiamo trarre da questa vicenda, qualunque sia l’esito delle indagini su Kurz – che ovviamente respinge ogni addebito – è la seguente: i sondaggi servono a fotografare le preferenze degli elettori in un dato momento. Non devono diventare lo strumento per valutare la capacità politica di questo leader o di quel partito. Di solito quella si vede sul lungo periodo, e non si misura certo attraverso i sondaggi.

Sì, perché sono già troppi i politici che hanno costruito intere carriere sui sondaggi. E perché dobbiamo respingere il seguente paradigma: la politica non per la politica, ma la politica per i sondaggi.

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