Ottobre 25, 2021

Di Maio su Conte: “Così scegliemmo lui e non Sapelli. Era abbronzato e…”

Un amore chiamato politica“, si chiama così il libro autobiografico dato alle stampe da Luigi Di Maio. In un retroscena pubblicato da Il Fatto Quotidiano, il ministro degli Esteri racconta come si arrivò, il 14 maggio 2018, alla decisione di indicare Giuseppe Conte presidente del Consiglio anziché Giulio Sapelli. Un racconto dai contorni surreali.

di Luigi Di Maio

Io, Spadafora, Spadafora, Salvini e Giorgetti eravamo a colloquio con il professor Giulio Sapelli. Devo ammettere che mi sorprese, ebbe parole lusinghiere per le istituzioni dello Stato, ci raccontò la sua esperienza all’Eni, approfondì alcuni passaggi sui nostri interessi geostrategici. Condivideva anche alcuni punti del nostro programma economico, in particolare era d’accordo su una ripresa delle partecipazioni statali. Era una persona preparata e si capiva che sapeva farsi valere. L’ago della bilancia si stava fortemente spostando verso di lui, anche se dovevamo ancora parlare con Conte. Il problema si pose poco dopo. I leghisti sono infatti famosi per non sapersi tenere nulla, hanno la smania di lasciare filtrare qualsiasi indiscrezione, ne fanno in pratica una linea strategica. Così qualcuno spifferò di quell’incontro e Sapelli, finito il colloquio, la mattina dopo fu intercettato da Radio Cusano Campus, che lo intervistò.

Alle domande rispose con un certo piglio, svelò alcuni retroscena in un momento in cui si chiedeva riservatezza. Confermò di essere stato chiamato per fare il presidente del Consiglio. Mai passo fu più falso. Si bruciò con le sue stesse mani. A quel punto quello di Giuseppe Conte sarebbe stato un gol a porta vuota. Tuttavia, lui non sottovalutò la situazione. Al suo arrivo in hotel indossava una camicia, il primo bottone sbottonato, la sua abbronzatura era forte, decisa, molto estiva e gli conferiva un’aria spensierata. Veniva dal Circeo, o da Gaeta, non lo ricordo con esattezza. Impeccabile nei modi, si pose nei confronti di ciascuno di noi con umiltà, mostrando un grande spirito collaborativo. Fece breccia anche in Salvini che, al termine del colloquio, si disse convinto. Un suo strettissimo collaboratore, anche lui presente, si intromise e avanzò un timore, che poi si sarebbe rivelato profetico: “Matteo, sei sicuro? Non è che questo poi ci diventa il Macron italiano?”. “Ma figurati”, ribatté Salvini. In effetti di tutto avremmo potuto immaginare in quel frangente, fuorché l’ascesa che avrebbe poi compiuto Conte.

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