Marzo 26, 2022

Fattore Draghi: perché nella crisi ucraina averlo premier fa la differenza

Sembra trascorso un secolo. Eppure non sono neanche passati due mesi dal fatidico 29 gennaio, dal sabato mattina in cui la politica italiana si è trovata a rotolare verso un destino che soltanto il senno del poi ha fatto apparire inevitabile: il bis al Quirinale di Sergio Mattarella. Eppure non era così, non fatevi ingannare dal tempo presente che tutto cancella: per quasi un anno, l’alternativa ha avuto il nome e il volto di Mario Draghi.

Chiamato a prestare il suo servizio alla disperata causa italiana nel febbraio 2021, era pensiero comune che Draghi fosse destinato a ricalcare quello che potremmo definire “modello Ciampi“. Un passaggio a Palazzo Chigi di circa un anno per poi puntare al Colle. Nel 1993, la missione di quel “governo tecnico rivelatosi felicemente politico“, per usare le parole di Sergio Mattarella, fu quella di “salvare il Paese dalla bancarotta“. Nel caso di Draghi la mission impossible era pure più ardua: salvare gli italiani da una crisi sanitaria, economica e sociale, risollevare il Paese dal baratro in cui era piombato. Il passato in comune da ex governatori della Banca d’Italia, il fatto poi che proprio Ciampi fosse stato uno dei mentori di Mario Draghi, non facevano che aumentare la suggestione di un Super Mario al Colle.

Errori tattici e debolezza della politica, incapace di trovare un’alternativa in grado di tenere insieme la variegata compagine di governo, hanno scompaginato i piani. Probabilmente anche quelli dello stesso Draghi. Ma questo concatenarsi di (im)prevedibili eventi ha giocato inconsapelvolmente a favore dell’Italia.

Perché Draghi premier è decisivo nella crisi ucraina

Nessuno intende sminuire il ruolo del presidente della Repubblica. Ricordiamo ai passanti: trattasi del capo delle Forze Armate, non propriamente un dettaglio, con la guerra in Europa. Ma è indiscutibile che il “fattore Draghi” rappresenti un valore aggiunto in questa crisi. Lo si intuisce osservando la questione da due punti di vista opposti: da una parte c’è che nessun italiano al mondo possiede a livello internazionale la stessa autorevolezza e credibilità di Mario Draghi; dall’altra c’è che nessun altro politico italiano avrebbe potuto/saputo incarnare questa fase con lo stesso successo dell’attuale premier, sopendo le pericolose inclinazioni di diversi esponenti nostrani. Chiaro eufemismo, edulcorata forma, per dire che nessuno meglio di Draghi avrebbe saputo tenere a bada gli ambigui rapporti, passati e purtroppo presenti, di molti partiti italiani con la Federazione Russa.

Ma in cosa si traduce l’effetto Draghi? Qual è il ruolo di Mattarella in questa partita? E cosa pensano gli Alleati del nuovo corso italico?

Senza dubbio congiuntura astrale ci ha favoriti, il Cielo ci ha guardati. Al Quirinale c’è Sergio Mattarella, garante della solidità della Repubblica, ma anche attore coinvolto nella gestione della crisi geopolitica in atto. Se n’è avuto un indizio pochi giorni fa, quando parlando dell’approvazione della Bussola strategica, il piano per la Difesa UE che prevede la Forza di reazione rapida di 5mila militari europei, Draghi ha detto di aver appreso dal capo dello Stato – un passato da ministro della Difesa che molti dimenticano – che all’inizio degli anni Duemila la cifra pensata era ben più alta di quella infine adottata: 150mila soldati europei, non 5mila. Si tratta di un aneddoto, è evidente, che dà però la cifra del rapporto simbiotico tra i due pilastri della Repubblica, che dice del dialogo fitto tra il capo dello Stato e quello del governo. Eppure, se è vero che Draghi sarebbe sta…

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