Novembre 18, 2022

Iran, a fuoco la casa di Khomeini: cosa serve per far crollare il regime

La scintilla della libertà in Iran è diventata un incendio. Ora le fiamme hanno avvolto persino la casa natale di Ruhollah Khomeini, il “padre” della Rivoluzione Islamica, l’emblema dell’incubo vissuto dagli iraniani dal 1979 ad oggi.

A dare notizia dell’accaduto non sono soltanto i social, ma anche i media internazionali, tra cui Iran International. Il rogo sarebbe stato appiccato utilizzando delle bottiglie molotov: classica tecnica da guerriglia, utilizzata a più riprese in queste settimane contro le forze di sicurezza del regime.

I manifestanti hanno dato fuoco anche al seminario sciita di Qom. Siamo dinanzi ad uno spettacolare salto di qualità della protesta, alla prova che chi scende in strada non combatte più per la libertà dei costumi, ma per abbattere il regime.

A questo punto, per capire come finirà questa rivoluzione, bisogna osservare i due livelli: il palazzo e la piazza.

Il palazzo è diviso, confuso, incapace di tracciare una linea coerente nella gestione dei disordini. Fare concessioni comunica debolezza, porta alla corrosione del sistema di paura su cui si regge il potere. Allo stesso tempo la soppressione non paga: dà vita a proteste sempre più forti ed estese. Il regime è un vecchio acrobata con problemi di coordinazione in equilibrio su un filo sottilissimo mentre attorno è il caos.

La piazza è inferocita, fiuta l’opportunità che capita una volta in una generazione: sa che se non sarà stavolta difficilmente sarà la prossima. Ora combatte per rendere il tempo suo alleato: anche qui, è un difficile equilibrio. Più si allunga la protesta, più il regime faticherà a riportare le cose all’ordine prcedente. Ma il tempo della protesta non deve allungarsi troppo: perché il fuoco lento brucia in primis i manifestanti. Ciò che serve è una vampata. Cosa accadrebbe se a scendere in piazza fossero centinaia di migliaia di persone, se non milioni? Quelle sono …

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