Gennaio 28, 2023

Ucraina, retroscena: il “no” di Biden ai generali, il “gioco sporco” dei tedeschi con Austin, i 31 Abrams per stanare Scholz

Pochi giorni a Natale. Volodymyr Zelensky viene ricevuto da Joe Biden alla Casa Bianca. Per il primo viaggio all’estero dall’inizio dell’invasione russa, il presidente ucraino ha fissato l’asticella molto in alto. Il leader del mondo libero lo ascolta attentamente, all’interno dello Studio Ovale, così come ha fatto per giorni e giorni al telefono, ormai da quasi un anno. Ma guardarsi dritto negli occhi è altra cosa. E forse nemmeno il navigato presidente americano si aspetta di ricevere quella richiesta. Sa che l’Ucraina ha urgente bisogno di un salto di qualità nel sostegno alla sua causa, di armi più potenti, ma quando Zelensky chiede la consegna di missili a lungo raggio e carri armati, la questione cambia. Sulla prima richiesta il “no” americano è netto: le assicurazioni di Kyiv non bastano, e Washington non vuole concedere a Mosca il lusso di raccontare l’ennesima guerra per procura americana. Ma sulla seconda, quella dei tank, Biden concede uno spiraglio. Le settimane successive lo renderanno prima un varco, poi un’autostrada da percorrere.

A fare la differenza è stata la politica. Ma anche la volontà di un uomo: il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Quando la questione viene studiata nel dettaglio, infatti, il Pentagono non esprime dubbi di sorta: tocca a Berlino fare la prima mossa. I Leopard di fabbricazione tedesca sono gli esemplari che meglio rispondono alle esigenze di Kyiv sul campo di battaglia, assicurano i generali a stelle e strisce. Un concetto ribadito a Biden dal segretario alla Difesa Austin e dal capo di stato maggiore Milley in persona. I militari fanno il loro mestiere quando insistono sul fatto che gli Abrams non sono ciò che occorre all’Ucraina. L’inquilino della Casa Bianca parla al telefono con il Cancelliere Scholz in più di un’occasione, caldeggia l’invio dei “felini“, ma ogni volta ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un nuovo insormontabile “muro di Berlino“.

Lo sforzo della diplomazia americana è mastodontico. Il capo del Pentagono anticipa la partenza per Ramstein di un giorno. Incontra nella capitale tedesca Boris Pistorius, il neo-ministro della Difesa tedesco, ancora fresco di giuramento. Gli porta il messaggio degli Alleati: il vertice del Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina, previsto per il giorno successivo nella base militare americana, è l’occasione giusta per mostrare al mondo, ma soprattutto a Mosca, che l’Occidente è unito nel sostegno dell’Ucraina. Ma la Germania non si smuove.

Un funzionario di Berlino, citato dal Financial Times, prova a giustificare la posizione tedesca accusando gli Alleati di non aver compreso la particolare sensibilità teutonica in materia di carri armati: “Se carri armati con croci tedesche compaiono sul campo di battaglia, Putin può dire: ‘Guarda, è quello che ho sempre detto, la NATO sta intervenendo in questa guerra’. È una narrazione di Russia Today che ha molta risonanza in America Latina e in Africa e dobbiamo esserne consapevoli“. I tedeschi prendono tempo. Anzi, ne perdono. Ma in quelle ore si aggiunge un altro rischio: quello di una frattura sull’asse Washington-Berlino che rischia di diventare personale.

La Germania comunica infatti agli Stati Uniti che consegnerà i Leopard a Kyiv e rimuoverà il veto sull’esportazione dei carri armati soltanto se avrà le spalle coperte da Washington. Traduzione: soltanto se gli americani invieranno contestualmente i loro Abrams. Nel momento in cui la notizia viene pubblicata sui maggior giornali internazionali si palesa il cortocircuito diplomatico.

Il segretario Austin è infatti sorpreso del fatto che quella richiesta sia diventata di dominio pubblico: quelle conversazioni dovevano restare riservate. Berlino ha giocato sporco. E la reazione americana è violenta, affidata al pupillo di Joe Biden, quel Jake Sullivan che durante l’esperienza a Palazzo Chigi sembra abbia impressionato positivamente lo stesso Mario Draghi, e che si rende protagonista di una strigliata epocale

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