Febbraio 12, 2023

Pavel Slunkin, parla il diplomatico bielorusso: “Ero a Minsk la notte degli Accordi: come andò tra Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande”

Pavel Slunkin può dire “io c’ero“.

Non è chiaro se con orgoglio o con rimpianto, ma lui al Palazzo Presidenziale di Minsk, mentre Ucraina e Russia firmavano il loro cessate il fuoco l’11 febbraio 2015, davvero ce l’ha messa tutta per favorire una pace duratura tra i due Paesi. Lo ha fatto nelle vesti di diplomatico bielorusso, sherpa fra altri sherpa, testimone di una Storia che col passare degli anni ha smarrito la maiuscola.

Nella capitale della Bielorussia di Lukashenko si riunisce il Formato Normandia: è la locuzione con cui ci si riferisce al gruppo composto da Francia, Germania, Russia e Ucraina. Prende il nome da quanto accaduto pochi mesi prima, il 6 giugno 2014, quando i rappresentanti di questi stessi Paesi si incontrano a margine del 70esimo anniversario dello sbarco in Normandia. Non è un formato rigido: alle volte può allargarsi ad altri Paesi, come il Regno Unito, la Bielorussia, la stessa Italia. Ma sono proprio i “padroni di casa“, come raccontato da Slunkin, a tentare il colpaccio. In quelle settimane di tensione, con la guerra nel Donbass in corso, il presidente Lukashenko assume una postura diplomatica che spiazza molti analisti ed osservatori.

L’ultimo dittatore d’Europa“, come viene soprannominato – sì, c’era grande ottimismo in giro, all’epoca – a quel tempo può essere quasi definito neutrale. Non ha riconosciuto l’annessione della Crimea e ha cautamente difeso l’integrità territoriale dell’Ucraina. Ma è Slunkin ad aggiungere un dettaglio inedito: “Molti non lo sanno, ma Lukashenko ha battuto il ferro mentre era caldo e tentato persino di mettersi al tavolo delle trattative. È stato ovviamente bloccato da Germania e Francia e alla fine si è arreso. Tempo dopo dirà che il suo ruolo quella notte era quello di ‘portare caffè e munizioni“.

A rappresentare Francia e Germania sono il presidente François Hollande e la Cancelliera Angela Merkel. A giocare la partita per Russia e Ucraina sono i due presidente Vladimir Putin e Petro Poroshenko. Quest’ultimo arriva a Minsk con le spalle al muro. A Debaltseve, nel Donbass, i russi stanno sfondando, gli ucraini ne hanno per pochi giorni ancora, non di più. E il leader di Kyiv informa Angela Merkel, di cui si fida, del fatto che se i suoi soldati cadono, come appare ormai certo, i russi hanno la strada spianata fino alla capitale. Non lo dice ovviamente a Vladimir Putin, non può permetterselo: se lo facesse, al tavolo delle trattative, perderebbe ogni potere contrattuale. Ma la situazione degli ucraini è disperata: è un fatto.

Rispetto al resoconto fornito da Hollande, Slunkin ridimensiona il ruolo del presidente francese. Racconta: “Merkel e Hollande sono sbarcati a Minsk quasi contemporaneamente e la Cancelliera tedesca ha chiesto di incontrarsi prima che si trasferissero a Palazzo. Si sono visti in aereo. Nell’aereo della Merkel, ovviamente. Anche a Palazzo sono arrivati ​​insieme. Il presidente francese, il signor Hollande, sembrava non sapere cosa stesse facendo lì. Quindi ha scelto la strategia più semplice: ha seguito Angela Merkel e le sue istruzioni. Puoi intuirlo facilmente anche dalle foto di quella notte“.

Vladimir Putin a Minsk si presenta in ritardo. Un classico. Anche Papa Francesco, la Regina Elisabetta (per lei solo 14 minuti) hanno dovuto adeguarsi ai ritmi lenti dello Zar. Merkel una volta si ribella: a Milano, dopo oltre 2 ore di attesa cancella il meeting. È Putin, di ritorno da una festa in Serbia, ad andare a Canossa, raggiungendo a tarda sera la Cancelliera nel suo hotel meneghino. Perché lo fa? C’è chi dice per abitudine: il padrone assoluto non è abituato a doversi scusare. Altri credono siano una mossa per irritare gli interlocutori di turno. L’ex moglie Lyudmila ha un’altra spiegazione ancora, fondata sui loro appuntamenti da ragazzi: “Io ero sempre puntuale. Lui mai. Quante volte mi sono ritrovata a vagare nella metropolitana, perché lui non arrivava. Sempre un’ora e mezza dopo: per lui è la normalità“.

Fatto sta che a Minsk il tempo è il bene più prezioso. Così, quando Lukashenko invita le delegazioni ad accomodarsi per la cena, Hollande acconsente con visibile felicità, ma Merkel lo stoppa bruscamente: “Non c’è tempo, iniziamo a lavorare“, dice. Il francese abbozza, anni dopo ricorderà i sandwich “non propriamente freschi” portati dai bielorussi al tavolo dei leader.

I negoziati sono un tira e molla continuo: montagne russe, potremmo dire. Diciassette ore di trattativa sono una maratona durissima da affrontare, anche a livello fisico. Ma ancora una volta è Slunkin a rivelare un retroscena decisivo: “Putin riceveva il suo ‘doping’ dal paese ospitante. Era l’unico che aveva una stanza con un letto proprio nel Palazzo presidenziale. Diverse volte ha lasciato il tavolo con l’aria stanca ed è tornato fresco dopo un po’ di tempo“. Lo stesso non si può dire per Poroshenko. Il presidente ucraino, ricorda Slunk…

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