Trump in arresto? Il caso Stormy Daniels: per Donald è il giorno più lungo – DIRETTA
Nemmeno nel più rocambolesco dei sottosopra, neppure nel peggiore dei suoi incubi, Donald Trump avrebbe creduto di ritrovarsi all’immediata vigilia di un possibile arresto. Chi crede nel karma avrà certamente ripescato i comizi della campagna per le presidenziali 2016, con il tycoon versione “capo-ultras” di una folla oceanica inneggiante l’arresto dell’odiata Hillary Clinton, al ritmo di: “Lock her up, lock her up!“.
Adesso sono i suoi nemici a sognare il grande scalpo: Donald Trump attorniato da agenti di polizia, federali, membri del Secret Service, ammanettato ed esposto alla mercé dei fotografi, marchiato per sempre. Chi è a conoscenza della materia scommette sul fatto che non ci sarà spazio per la spettacolarizzazione, ma allo stesso tempo avvisa che lo sfogo consegnato al social Truth dall’ex presidente pochi giorni fa, la previsione che sarà arrestato oggi, martedì 21 marzo 2023, sia in procinto di avverarsi sul serio.
Quel che è certo è che The Donald, prendendo parte ad un torneo di golf per celebrità nell’estate del 2006, mai avrebbe pensato che tra una buca e l’altra, a finire affossato sarebbe stato proprio lui.
Il caso che può portare Donald Trump in stato di arresto
Tredici luglio 2006. Trump ha appena compiuto 60 anni, la pancia è meno pronunciata di oggi, la moglie Melania gli ha dato da poco il loro primo e unico figlio, Barron, e la politica una tentazione ancora lontana. Per tutta l’America è l’imprenditore spregiudicato di successo, il volto di un programma che fa breccia nei telespettatori, The Apprentice, l’emblema del business man. Nella sua camminata sul green, Trump è accompagnato da una schiera di giovani fan a caccia di autografi: emana potere ad ogni passo. Ma la visione periferica di Trump è evidentemente ben allenata se, tra una firma e l’altra, scorge ad una certa distanza un gruppo di pornoattrici invitate a loro volta al torneo di golf. Una di loro attira la sua attenzione: ha 27 anni, è una bellissima ragazza bionda nota al pubblico come Stormy Daniels. I due, chissà come, finiscono per ritrovarsi sullo stesso caddy ed è lì, stando al racconto della donna, che Trump le dice: “Voglio venire a parlarti più tardi“. La verità è che faranno più che parlare.
Con il passare del tempo emergeranno anche i dettagli intimi, ma spiare attraverso il buco della serratura non è abitudine di questo Blog. Ciò che interessa oggi è la dinamica che ha portato Donald Trump sulle soglie dell’arresto. Nel 2011 Stormy Daniels decide di raccontare quanto accaduto nel resort nei pressi del Lake Tahoe, al confine tra California e Nevada. Il prezzo fissato per l’intervista concessa alla rivista In Touch Weekly è di 15mila dollari. Ma quando i giornalisti chiamano Trump per un commento ottengono un ammonimento dal suo avvocato, Michael Cohen: se pubblicheranno quella storia, è l’avviso, Trump gli farà causa. L’intervista resta nel cassetto, ma bastano poche settimane per far sì che Stormy Daniels capisca di essersi ficcata in una storia probabilmente più grande di lei.
La donna sta andando in palestra ed insieme a lei c’è sua figlia, quando un tizio la avvicina in un parcheggio e le dice: “Lascia in pace Trump. Dimentica questa storia. Che bella bambina. Sarebbe veramente un peccato se accadesse qualcosa a sua mamma“. Stormy si spaventa, comincia a negare di aver avuto una relazione con il miliardario, ma il 2016 è dietro l’angolo. Le arrivano offerte da capogiro, tutti i giornali vogliono uno scoop sul candidato repubblicano alla Casa Bianca che sta sbaragliando la concorrenza. Trump annusa il pericolo ed ad undici giorni dal voto chiede al suo avvocato, Michael Cohen, di metterci una pezza. Una costosissima pezza da 130mila dollari per comprare il silenzio di Stormy Daniels. No, non è questo il reato contestato: Trump aveva il diritto di siglare un accordo di non divulgazione. Ciò che lo mette nei guai è soprattutto il tempismo del pagamento. E il fatto che Cohen, che decide di pagare il corrispettivo direttamente dal proprio conto, viene rimborsato con un procedimento che, secondo le indagini, porta la Trump Organization a falsificare i documenti (reato penale) affinché quel compenso venga registrato come frutto di una consulenza legale (inventata). Secondo la procura di Manhattan, Trump potrebbe aver violato una legge che regola i finanziamenti alle campagne elettorali, ma qui il discorso si fa troppo tecnico. Ed i processi si fanno in tribunale.
Cosa accadrebbe in caso di arresto: le possibili proteste, agenti in allerta
Ad avere tra le mani il destino di Donald Trump è Alvin Bragg. È un uomo che ha una certa confidenza con la Storia, essendo stato il primo procuratore distrettuale nero di Manhattan. In queste ore potrebbe riscriverla.
Dopo anni di indagine, Bragg è ad un passo dalla chiusura dell’inchiesta. Lo si è capito chiaramente la scorsa settimana, quando gli avvocati di Trump hanno dichiarato che all’ex presidente è stata offerta la possibilità di comparire davanti al gran giurì, la figura giuridica chiamata a determinare se ci sono prove sufficienti per perseguire un procedimento. Quando si arriva a questo punto, solitamente, l’indagine è ai titoli di coda. È sulla base di questi indizi che Trump ha sfogato sui social la preoccupazione di essere arrestato chiedendo agli americani di protestare e di riprendersi il Paese? Il procuratore Bragg si è limitato ad osservare che “non tollererà i tentativi di intimidire il nostro ufficio o di minacciare lo stato di diritto di New York“.
A proposito di Grande Mela, a tutti gli ufficiali del New York Police Department (NYPD), inclusi i detective in borghese, è stato ordinato di indossare la loro uniforme completa a partire dalle 7:00 di oggi, in vista di una possibile incriminazione di Trump. Al Congresso, forse memori dello shock del 6 gennaio, nella notte hanno iniziato a montare le prime transenne.
Lo stesso è avvenuto a Manhattan, dove i funzionari delle forze dell’ordine si sono riuniti ieri insieme ad elementi dei servizi segreti statunitensi, funzionari del tribunale e funzionari dell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan. La pentola è in ebollizione.
La domanda, oggi, non sembra dunque più riguardare “se” Trump verrà incriminato, ma “come” verrà gestita l’incriminazione di un ex presidente degli Stati Uniti sostenuto da poco meno della metà degli americani. Gli avvocati di Trump hanno spiegato che un eventuale arresto seguirebbe la procedura standard. Ciò vorrebbe dire che Trump potrebbe viaggiare dalla sua residenza a Mar-a-Lago, in Florida, e comparire al tribunale di New York City: una volta preso in custodia avrebbe luogo la foto segnaletica e gli verrebbero prese le impronte digitali. Non aspettatevi di vederlo in cella: con ogni probabilità sarà prevista cauzione. La sensazione è che la portata della posta in palio – in primis la tenuta sociale del Paese – suggerirà prudenza. Il Blog non esclude, dunque, una possibile negoziazione tra l’ufficio del procuratore distrettuale e il team di Trump. Qualche esempio? All’ex presidente potrebbe essere concesso un ingresso privato al tribunale: un modo per tutelare la privacy di Trump e la sicurezza dei cittadini.
Certo, poi c’è da fare i conti con il “fattore Donald“: sobillerà la piazza come fatto dopo le elezioni perse con Joe Biden? Non si può escludere. E come reagiranno i Repubblicani ad un’eventuale incriminazione del leader? Lo sosteranno nell’ora più buia o cercheranno di cavalcare l’onda per sbarazzarsi della sua ingombrante presenza? L’apertura di una diretta è d’obbligo: gli iscritti avranno accesso a notizie in tempo reale, retroscena, anticipazioni. Mettetevi comodi, andiamo in America.
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