Aprile 17, 2023

Sudan intrigo internazionale: la partita della Russia, Occidente in stand-by. Puzzle geopolitico e scenari. Retroscena Italia: quel dialogo con Hemedti…

Ci sono storie in cui non è facile indicare il buono e il cattivo. Chi rappresenta il Bene, chi il Male, nella guerra che sta dilaniando il Sudan? Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito regolare, è il generale che nel 2021, dopo un lungo servizio al fianco del dittatore sanguinario Omar al-Bashir, rifiuta di cedere il potere a favore del governo civile. Se la transizione da modello autoritario a democrazia fallisce, lo si deve anche al suo rifiuto di farsi da parte.

Ma dall’altro lato, alla guida delle Forze di Supporto Rapido (RFS), c’è pur sempre il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come “Hemedti“, un noto criminale di guerra. Le sue truppe, i “janjaweed“, quando il Darfur finisce ancora nei telegiornali di tutto il mondo per le brutalità di cui è teatro, si rendono protagonisti di stupri, mutilazioni, massacri su varia scala. “Diavoli a cavallo“, vengono chiamati i suoi miliziani: poche volte una definizione è stata così calzante.

Abbattuto il dittatore nel 2019, oggi in carcere per accuse di stampo finanziario ed insieme ricercato dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra, due anni dopo i due generali uniscono le forze. Fanno proprio un vecchio adagio universale: il nemico del mio nemico è mio amico.

Sciolto il governo che avrebbe dovuto traghettare il Paese verso nuove elezioni, messo in cella il primo ministro, al-Burhan ed Hemedti diventano nell’ottobre 2021 rispettivamente N° 1 e 2 – de facto – del Sudan. Che caratteri e storie del genere faticheranno a coesistere lo si intuisce subito, ma come fanno due compagni di golpe a trascinare la terza nazione più popolata d’Africa in una guerra civile? C’entrano le trattative complesse – eufemismo – per riportare il Sudan su una rotta democratica? Questa è la versione ufficiale. Poi ci sono le varie tesi reali, tutte valide, eppure passibili di smentita, al netto del punto di osservazione. Ad esempio: chi avrebbe comandato le forze di difesa del Sudan? Chi avrebbe gestito le risorse economiche loro destinate? E quali sarebbero stati gli equilibri di potere fra esercito e paramilitari? Dicono che Hemedti abbia mostrato fiuto da politico, cavalcando la questione democratica, accusando al-Burhan di volere trattenere per sé le leve del comando, contro gli interessi del popolo. Chi lo conosce assicura: si tratta di un escamotage, un artificio retorico, dietro di lui c’è il Gruppo Wagner. D’altronde non è una novità che la Russia abbia giocato – e giochi tuttora – un ruolo cruciale nella destabilizzazione del Paese. Se un signore come Sergio Mattarella dichiara in queste ore che “l’azione della Wagner in tanti Paesi africani richiama a grande allarme la NATO e l’Unione europea” significa che la situazione è grave, e pure seria.

La partita della Russia, l’antica promessa di al-Bashir a Putin. L’Italia e quel dialogo con le milizie di Hemedti

C’è il legame con la “corsa all’oro” che a partire dal 2014, anno di invasione della Crimea, consente a Vladimir Putin di attingere alle miniere locali per limitare i danni delle sanzioni internazionali. Pepite e dobloni in cambio di sostegno militare e politico: Mosca sa da sempre come usare le sue leve. Ma soprattutto c’è la partita del Mar Rosso, dove il Sudan affaccia, e dove il Cremlino pianifica da tempo la creazione di una base militare (antica promessa di al-Bashir, rinnovata da al-Buhran) per proiettarsi verso l’Oceano Indiano e allungare gli artigli verso il Mediterraneo.

Eccolo il caos che rallenta la formazione del puzzle di alleanze internazionali in queste ore. Nessuno vuole restare a bocca asciutta quando tutto, prima o poi, sarà finito. E così, prima di prendere posizione, le potenze internazionali valutano le chance di successo dell’una e dell’altra parte. La Cina pare abbia scelto quella di al…

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