Maggio 20, 2023

G7 Hiroshima: Cina-Russia, Modi-Lula, Meloni-Biden. Le “coppie” della seconda giornata

Seconda giornata di lavori al G7 di Hiroshima. E seconda giornata di decisioni (e notizie) indiziate di plasmare gli scenari globali nei prossimi mesi. Con una battuta – ma nemmeno tanto – si potrebbe asserire quanto segue: la sintesi migliore degli accordi raggiunti fra i Grandi è stata partorita a Mosca, di norma non così celebre (eufemismo) in quanto ad affidabilità giornalistica. Ma provate voi, se riuscite, a dar torto oggi al ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, quando dichiara che le decisioni adottate in Giappone “mirano al doppio contenimento di Russia e Cina“. L’accezione utilizzata da Lavrov è nelle intenzioni ovviamente negativa. In maniera altrettanto ovvia l’Occidente dovrebbe cogliere di aver compiuto un buon lavoro.

In concreto: il giorno dopo aver inasprito sanzioni e vincoli delle stesse nei confronti della Russia, i leader del G7 hanno calorosamente invitato Pechino a passare se non dalle parole ai fatti quanto meno dai pensieri alle parole. Si legge in un comunicato del vertice: “Chiediamo alla Cina di fare pressioni sulla Russia affinché fermi la sua aggressione militare“. Mosca, di pari passo esortata a “ritirare incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina“, platealmente descritta come influenzabile da Pechino. Se non è un affondo in Obama style (“Russia potenza regionale”, cit.) poco ci manca.

Pechino, dunque. Pechino che, come da previsioni, risulta suo malgrado convitato di pietra del summit. Non che ci si potesse attendere qualcosa di molto diverso da un vertice a presidenza nipponica. Non con Tokyo così sensibile – con molte ragioni – al tema posto dall’espansionismo cinese. Sul punto in questione, il G7 sottolinea senza troppi fronzoli che “non esiste una base legale per le estese rivendicazioni marittime di Pechino nel mar Cinese meridionale e noi ci opponiamo alle attività di militarizzazione della Cina nella regione“. Dita negli occhi per Pechino. Nemmeno gli ultimi.

I Sette riconoscono l’elefante nella stanza, sono consapevoli di non potere in alcun modo aggirarlo, così definisco “necessario” cooperare con la Cina, ma non rinunciano a dirsi “seriamente preoccupati” per la situazione nei mari della regione, esprimendo “con forza opposizione a ogni tentativo unilaterale di modificare lo status quo con forza o coercizione“. Preludio all’inevitabile passaggio sullo Stretto di Taiwan, all’importanza di “pace e stabilità“, definiti “indispensabili a sicurezza e a prosperità nella comunità internazionale“. Come dire: giù le mani da Taipei, che ringrazia, mentre Pechino reagisce esprimendo “forte insoddisfazione” e “ferma opposizione” contro il G7 di Hiroshima, “incurante delle serie preoccupazioni della Cina” nonché teso a “manipolare le questioni relative a Taiwan, diffamando e attaccando la Cina e interferendo in modo grossolano nei suoi affari interni“.

La giornata odierna è stata anche quella dell’arrivo in quel di Hiroshima di Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino è arrivato a bordo di un aereo offerto dalla presidenza francese. E con il presidente Macron ha avuto uno dei bilaterali più importanti di giornata. L’inquilino dell’Eliseo ha definito la presenza del leader di Kyiv in Giappone un “game changer“. Importante in tal senso non solo il via libera in arrivo ad ulteriori aiuti militari per 375 milioni di dollari da parte degli USA, ma pure il bilaterale tenuto da Zelensky con Narendra Modi. Il primo ministro del gigante indiano, nel corso di un bilaterale informale, ha assicurato all’interlocutore di comprendere “pienamente la sua sofferenza e quella del popolo ucraino“, spingendosi poi ad assicurare che per risolvere questa guerra “l’India ed io personalmente faremo tutto il possibile“.

Evidentemente meno entusiasta della presenza di Volodymyr Zelensky il presidente brasiliano Lula. A tal proposito il quotidiano Estadao di Sao Paulo azzarda quanto segue: Lula sarebbe addirittura riluttante ad incontrare il suo omologo ucraino in una riunione privata a margine del G7. Staremo a vedere. Qualora riuscisse nell’impresa sarebbe alquanto clamoroso.

E l’Italia?

Ultima giornata giapponese per Giorgia Meloni. Per dirla con le sue parole: “Qui ho fatto il mio lavoro, ma francamente non riesco a restare così lontano dall’Italia in un momento tanto complesso“. Importante il nuovo bilaterale, a distanza di pochi giorni della visita a Roma, tenuto con Volodymyr Zelensky. Feeling conclamato fra i due, discorsi avanzati per far sì che l’Italia contribuisca alla difesa dei cieli. Da capire ancora il modo, non disponendo il Belpaese di F-16, ma si parla di un possibile ruolo nell’addestramento dei piloti ucraini. Si vedrà.

Sottile quanto basta la stoccata inferta a Justin Trudeau dopo lo screzio di ieri: “Credo fosse vittima di una fake news, di certa propaganda che arriva” ma, quando “chiedi nel merito, ciò di cui parliamo non si ha notizia. Siamo venuti a capo della vicenda, probabilmente è stato un po’ avventato, ho spiegato che noi non abbiamo fatto nessun provvedimento in materia. Questo accade quando si è particolarmente vittime della propaganda che non corrisponde alla verità, sono cose che possono accadere“.

Importante il confronto con Emmanuel Macron: 45 minuti per promettersi una tregua nelle invasioni di campo, per concentrarsi su problemi di gran lunga più importanti di qualsiasi scaramuccia, ad esempio sulla bomba ad orologeria tunisina, cui Meloni ha dedicato un franco approfondimento con la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, ad oggi non propensa a concedere il prestito necessario a risollevare le finanze di Tunisi. Nota a margine: Meloni ha detto di aver appreso da Saied del suo forte legame con l’Italia. Nella sua giovinezza l’unico canale trasmesso in Tunisia era Rai Uno: ciò ha reso Saied grande esperto ed estimatore di Raffaella Carrà e Pippo Baudo. Non sarebbe sorprendente che tirato fuori il coniglio dal cilindro fosse lui ad esclamare: “La soluzione al problema? L’ho inventata io!“.

Ps: Meloni volerà presto a Parigi e soprattutto a Washington. Bella la camminata mano nella mano e l’abbraccio con Joe Biden. Bella per noi: per chi sperava che un governo conservatore in Italia e un’amministrazione democratica negli USA producessero conflitti e incomprensioni molto meno.

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