Giugno 8, 2023

Draghi is back…a Boston. L’ultima lezione (politica) di Super Mario

Nel tempo di sua permanenza al governo, l’accusa più subdola fra le molte infondate mosse a Mario Draghi recitava più o meno così: “Sarà anche uno stimato economista” – “sarà”, certo – “ma non è un politico“. Il diretto (non) interessato mai si è scomposto. Perché nella vita i livelli esistono. Ma trovatelo – se vi riesce – un Maestro capace di condensare nello spazio di pochi secondi una lezione di politica e leadership di caratura simile a quella fornita dall’ex premier al 6° piano del Mit Samberg Conference Center di Cambridge, dove Draghi è stato insignito del prestigioso “Miriam Pozen Prize“, riconoscimento dei risultati conseguti nel campo della politica finanziaria internazionale.

Draghi mescola serietà e humour vagamente british, com’è nel suo stile. Dice che gli anni di studio al MIT di Boston lo hanno cambiato, ma attenzione: “Non dirò com’ero prima!“. Eppure è enormemente serio quando definisce il suo valore aggiunto nei ruoli di responsabilità che ha avuto l’onore e l’onere di incarnare: “Aver avuto un’istruzione di primo livello significa che le tue opinioni sono basate sul ragionamento e sui fatti. E se lo sono, la forza con cui uno mantiene le proprie convizioni è infinitamente più grande. Avere forti posizioni è essenziale per chi fa politica. Allo stesso tempo (…) sii pronto ad ascoltare gli altri, e ad ammettere facilmente che potresti avere torto. Ma una volta che decidi che non ti sbagli, vai avanti“.

Bob Pozen, figlio di quella Miriam cui il premio è intitolato, chiarisce con una battuta che Draghi ha chiesto di intervenire su alcuni “argomenti molto ristretti: guerra, inflazione, Europa“. Ma la platea non riesce probabilmente a cogliere l’assenza dell’Italia tra i temi di discussione, a conferma della regola aurea che Super Mario si è dato dalla fine del suo esecutivo. Fino a quando non dovesse rendersi necessario, nessuna interferenza, alcun commento: esercizio di incredibile difficoltà, quando altri tentano con insistenza di addebitarti il costo della loro inadeguatezza.

Ma dal podio non è difficile cogliere una continuità fra il Draghi di governo ed il Draghi odierno. Nessuna paura di definire la brutale invasione russa dell’Ucraina non come “un atto di follia imprevedibile“, ma come “un passo premeditato di Vladimir Putin, un colpo intenzionale contro l’Europa“.

Draghi è netto. Riporto integralmente questo passaggio: “I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica“, ed è “per questo che non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra. Accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente altri Stati confinanti e manderebbe un messaggio agli autocrati che l’Ue è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta. Segnalerebbe inoltre ai nostri partner orientali che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza – un pilastro della nostra politica estera – non è poi così incrollabile. In breve, assesterebbe un colpo esistenziale all’Unione Europea e certamente comprometterebbe tutta l’alleanza occidentale. Ma cosa significa vincere questa guerra? Vincere questa guerra per l’Europa e per il mondo significa avere una pace stabile, e oggi questa prospettiva appare difficile. L’invasione della Russia fa parte di una deludente strategia a lungo termine del presidente Putin: recuperare l’influenza passata dell’Unione Sovietica e l’esistenza del suo governo è ora intimamente legata al suo successo. Ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perché la Russia abbandoni i suoi obiettivi, ma non vi è alcun segno che un tale cambiamento si verificherà“.

L’analisi di Draghi si concentra sulle conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa, alle quali è necessario prepararsi: “Primo: l’Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa. (…) Secondo: dobbiamo essere pronti a iniziare un viaggio con l’Ucraina che porti alla sua adesione alla NATO. L’alternativa è inviare ancora più armi e costruire un accordo tra l’Ucraina e tutti i suoi alleati che contenga elementi di reciproca difesa, rimandando al trattato che lega gli Stati Uniti alla Corea del Sud. Ma un accordo simile sarebbe difficile da raggiungere e duro da implementare. Non avrebbe lo stesso potere nei confronti della Russia e, come ha osservato Henry Kissinger – e penso che questo sia il punto più importante – non legherebbe la strategia nazionale dell’Ucraina ad una strategia globale. Inoltre, credo che il contesto storico e quello politico siano differenti da quello coreano. Ma se questo si dimostrerà il corso degli eventi più probabile, la conseguente incertezza e l’instabilità potrebbero essere grandi. Terzo: dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia globale si comporterà in modo molto diverso rispetto al recente passato“. Per esempio, “mi aspetto che i governi abbiano per sempre deficit più alti“, perché le prossime sfide globali “richiederanno investimenti pubblici sostanziosi che non possono essere finanziati solo da aumenti di tasse“.

Cultura, conoscenza storica, capacità di analisi, visione. Forse ha ragione Bob Pozen quando riassume i motivi che hanno portato all’assegnazione del premio dicendo che “doctor Mario Draghi is unique“, “il dottor Mario Draghi è unico“. In Italia questo messaggio è passato solo in parte, e con molta fatica.

Lo stato d’animo di chi ha iniziato a scrivere questo pezzo alle 4:00 di notte è interamente sovrapponibile all’approccio della signora nel pubblico che, alzatasi in piedi per tributargli una standing ovation, svela inconsapevolmente alle telecamere la presenza di un taccuino. Nulla di male: perché quando parla un fuoriclasse è sempre bene prendere appunti. Pure noi prendiamo nota dell’espressione estasiata rivolta ai vicini di sedia, con tanto di “wow” al termine dell’intervento di Draghi.

Prendete questo articolo per quello che è: un regalo ai lettori. Dita negli occhi per filorussi e simili: ce ne faremo – abbastanza volentieri – una ragione.

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