Trump e la grande corsa per la vicepresidenza: “tentazione” Nikki Haley. Retroscena, criteri di selezione, alternative: Donald e il rebus del Numero 2
Ha flirtato a lungo con l’idea di essere una predestinata. La figlia di immigrati indiani che realizza il sogno americano, l’underdog che smentisce i pronostici, la candidata che non perde mai un’elezione. Infine, la prima donna presidente.
Sarà il tempo a dire se sarà solo questione di tempo.
Ma tornando a casa, fra mura finalmente amiche, Nikki Haley dice di aver saputo accettare la sua sorte.
Il primo passo è stato recuperare il sonno perduto nei mesi di campagna per le primarie. Il secondo ricominciare a correre, ritrovare il giusto ritmo. Il terzo, il più importante, riprendersi la sua famiglia.
È da un po’ che suo padre e sua madre sono tornati a vivere da lei, a Kiawah Island, South Carolina. E suo marito, Michael, un uomo dell’esercito degli Stati Uniti, ha finalmente fatto rientro da Gibuti. Adesso sì che tutti i pezzi sono tornati al loro posto. Talmente a posto che per qualche giorno l’idea di condurre un’esistenza normale non è sembrata così assurda.
È stato in questa dimensione sospesa, nella cattività che si impone ai candidati sconfitti, che le certezze acquisite hanno preso però a rimescolarsi. E allora chissà se è stato alla fine di una chiacchierata sotto il portico, o passeggiando sulla riva dell’Atlantico, che Nikki Haley ha deciso di non accontentarsi, di rimettersi in marcia, venendo a patti con una consapevolezza: sarà una lunga corsa.
Riemersa da settimane di buio, accarezzata nuovamente dal calore dei riflettori, la donna che giurava di non inchinarsi a Donald Trump ha infine “baciato l’anello” del leader che prometteva di combattere, che sognava di sconfiggere. Lo ha fatto, ma alla sua maniera.
Nei giorni in cui la speranza di smentire gli scettici si è definitivamente infranta ha resistito alla tentazione di comporre il prefisso di Mar-a-Lago, imposto a sé stessa e al suo team un’unica regola: “Dovrà essere Trump a cercarci“.
Eppure davanti alla platea dell’Hudson Institute, a un pubblico di conservatori, Nikki Haley chiarisce che “come elettrice” voterà per The Donald. Attenzione alle parole: sono sempre importanti. Quella di Haley non è una precisazione di poco conto, un’aggiunta sterile: è una scelta strategica, prima ancora che una concessione al suo orgoglio ferito.
Chi la conosce assicura: Haley ha studiato le virgole, financo le pause, della sua dichiarazione. Anzitutto la premessa: dice di essersi orientata a votare Trump non perché abbia cambiato idea sul suo conto, ma per il semplice fatto che per una repubblicana l’alternativa, Joe Biden, “è stato una catastrofe“. Ma è un altro il punto cruciale, il dato politico che fa la differenza: Haley chiarisce di parlare da elettrice, da cittadina semplice, non da leader a capo di un movimento politico. Non sono dimissioni dal proprio ruolo pubblico, ma sottolineatura del fatto che la discussione si svilupperà su piani differenti. E che dovrà essere Trump – spiega Haley – a fare la prima mossa, sempre lui a tentare di raggiungere i milioni di elettori che in questi mesi di primarie l’hanno eletta prima alternativa al campo MAGA. “E mi auguro sinceramente che lo faccia“. Oddio, forse non così sinceramente.
I ben informati negano l’esistenza di contatti tra le parti, neanche per mezzo di intermediari: Trump e Haley non si amano, né inizieranno a farlo adesso. Quando ancora credeva di poter ambire alla massima carica del Paese, Nikki ostentava sicurezza: “Io vicepresidente? Non sono interessata. Non gioco per il secondo posto. Né ora e né mai“. Ma adesso che la partita è finita? Il secondo posto sarebbe meglio di uno in panchina? Dipende dai punti di vista: è un gioco di incastri, di scenari.
Il bivio di Trump. La scelta di Haley. I due possibili scenari. Il metodo di selezione, i favoriti e le possibili sorprese per la vicepresidenza
Punto di domanda: qual è la posizione di Haley? Dipende dal risultato di novembre.
Se Trump batte Biden, il Partito Repubblicano imbocca la strada di un trumpismo irreversibile, senza più ritorno. A quel punto, con The Donald incandidabile per la regola del doppio mandato, il favorito per il 2028 diventa chiaramente il vicepresidente di turno. O in alternativa un esponente GOP che sia espressione di continuità con la piattaforma politica di Trump. Haley non risponde a quest’ultimo requisito: resterebbe la prima strada, quella che parte dall’ufficio del vicepresidente.
Sì, benissimo, ma se Biden batte Trump? Ecco che tutto cambia: in questo scenario Haley può avere interesse a restare ai margini della partita, a sedere pacificamente sulla riva del fiume, in attesa degli eventi, senza associare il proprio destino a quello di Donald. È il piano originale, quello delineato fino a poche settimane fa, quando le primarie sembravano difficil…