Retroscena Medio Oriente: Biden e il giallo della tregua. Il bluff di Hamas e l’ultimo bivio di Bibi Netanyahu
“So che in Israele c’è chi non sarà d’accordo con questo piano e chiederà che la guerra continui a tempo indeterminato. Alcuni sono persino nella coalizione di governo. (…) Bene, ho esortato la leadership israeliana a sostenere questo accordo, nonostante le pressioni“.
Venerdì sera, ultimo giorno di maggio. La Casa Bianca convoca i giornalisti per una dichiarazione non programmata: il presidente degli Stati Uniti ha qualcosa di importante da dire. Si parla di Gaza, di Medio Oriente, ma quando Joe Biden presenta alla nazione la sua “Proposta per una pace duratura” in 3 fasi è chiaro a tutti che la diplomazia non sarà abbastanza. Servirà una buona dose di preghiere, per chi crede, perché il piano possa prendere realmente forma.
La prima fase dovrebbe avere durata di 42 giorni: prevede un massiccio incremento di aiuti per la popolazione di Gaza (si parla dell’ingresso di 600 camion al giorno), il ritorno a casa degli sfollati palestinesi, il parziale ritiro delle truppe israeliane. Soprattutto: il rilascio di 33 ostaggi israeliani tra donne, bambini, anziani, malati e feriti, in uno scambio con decine di prigionieri di sicurezza di Hamas.
Entro il 16esimo giorno di tregua, secondo la roadmap stilata dalla Casa Bianca, dovrebbero iniziare i colloqui sulla seconda fase dell’accordo (anche in questo caso lunga 6 settimane). È il clou della possibile intesa. Prevede la fine permanente delle ostilità, il rilascio degli ultimi ostaggi (il fatto che si tratti perlopiù di soldati israeliani maschi rende la partita più delicata) e il ritiro completo dell’esercito israeliano da Gaza. Un alto funzionario della Casa Bianca, in un briefing con la stampa che ha luogo dopo il discorso di Biden, chiarisce: Israele conserverebbe “sempre il diritto (…) di agire contro le minacce alla sua sicurezza“. Non è ben chiaro come questa garanzia verrebbe assicurata.
Infine la terza fase: i corpi degli ostaggi uccisi da Hamas verrebbero restituiti alle famiglie, e un piano per la ricostruzione di Gaza della durata di tre o cinque anni, supervisionato dagli Stati Uniti, dal Qatar, dall’Egitto, dalle Nazioni Unite, prenderebbe il via.
La sensazione è che gli scogli principali siano la prima e la seconda fase: arrivare alla terza significherebbe “missione compiuta“.
Come spesso gli capita quando parla agli americani, Joe Biden impiega parole oneste: “Questo è uno dei problemi più difficili e complicati del mondo. Non c’è niente di semplice, niente di semplice“. Ha ragione. A 72 ore dalle sue dichiarazioni l’accordo balla pericolosamente.
I retroscena della trattativa: il problema di Netanyahu, la richiesta irricevibile di Hamas, la strategia di Sinwar, il non detto da Biden e le reali possibilità di pace
Domanda: di chi è questa proposta di tregua? Risposta: è di Israele. Non quella che avrebbe voluto, ma quella che ha accettato di sottoporre alla controparte.
Flashback. Venerdì 24 maggio, Parigi. Ad entrare in azione è l’uomo chiave dell’amministrazione Biden per le trattative che plasmano gli equilibri del mondo: è il direttore della CIA, Bill Burns.
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