La fuga, la lotta, la morte: tutti i retroscena delle ultime ore di Yahya Sinwar
Pensavano a lui da un anno. Pensavano a lui da sempre. Le sue foto sui muri delle caserme. Il suo volto ogni mattina sui cellulari. Lo ritrovavano nei loro incubi notturni, quotidiani. Memento impossibile da dimenticare, mostro inafferrabile, da continuare a cacciare. Ma per ogni pensiero rivolto, per tutti i piani di cattura stilati, rifiniti, e poi stravolti, falliti, stracciati, davvero nessuno credeva che la fine di Yahya Sinwar sarebbe venuta per com’è arrivata.
Perché è vero: gli israeliani hanno avuto dalla loro una grande Alleata, una cosa chiamata Fortuna. Ma non è stata cieca, bendata: è stata una Fortuna diversa, quella che aiuta gli Audaci.
Il cadetto che ha ucciso Yahya Sinwar. L’ultima dolorosa scoperta sugli ostaggi. La “lotta” del capo terrorista contro i soldati. Il mistero degli effetti personali. Le ore di agonia. L’ipotesi di un clamoroso scambio. Tutti i retroscena sulla fine di Yahya Sinwar
Alle 10 del mattino di un giorno che farà Storia, a scorgere la sagoma del capo terrorista e delle sue ultime guardie è un soldato semplice. Meglio ancora: un cadetto israeliano. Appartiene al 450esimo battaglione della Brigata Bislamach: all’interno dell’esercito israeliano è considerata la “palestra” per i corpi di fanteria, per chi ambisce a diventare comandante. Ma se questo equipaggio di ragazzi è lì, non è per una coincidenza, per puro caso. Sono a Tel Sultan, quartiere di Rafah, la stessa che roccaforte che Israele ha voluto ad ogni costo attaccare, sfidando anche la comunità internazionale.