Aspettando la sorpresa d’ottobre: 7 possibili casi che potrebbero stravolgere la sfida Harris-Trump. Storia, scenari, probabilità
Fu un certo William Casey, allora responsabile della campagna elettorale di Ronald Reagan, a coniare nel 1980 l’espressione destinata a fare Storia. Proprio lui a dare voce all’umana paura che il presidente Carter, dalla Casa Bianca, riuscisse a pochi giorni dal voto a materializzare il suo coup de théâtre, a tirare fuori dal cilindro il più grande dei conigli possibili e immaginabili. Traducendo: il rilascio degli ostaggi americani rapiti a Teheran in piena Rivoluzione Islamica.
E poco importa che accadde l’esatto opposto, poco cambia che i cittadini USA sarebbero stati infine liberati, sì, ma soltanto pochi minuti dopo l’addio di Jimmy Carter allo Studio Ovale.
La “sorpresa d’ottobre” rimase, come idea generale. Come memento sempre valido, eterno promemoria di un fatto impossibile da smentire: e cioè che una campagna per la Casa Bianca “non è finita finché non è finita“. In un senso come nell’altro. Perché una corsa può riaprirsi quando sembra chiusa, perché la sagoma di un cigno nero può stagliarsi all’orizzonte anche quando meno te lo aspetti. Meglio: a maggior ragione in quel momento.
Soltanto per restare a distanza di sicurezza, per guardare a tempi relativamente recenti, George W. Bush saggiò sulla sua pelle in due diverse campagne elettorali entrambe le sensazioni. Quella del vento contro e quella del vento a favore.
L’esempio classico di “october surprise” si materializzò nel 2000. A venire a galla fu l’incubo di ogni candidato, un colpo devastante per l’immagine: 24 anni prima George W. Bush, aspirante inquilino della Casa Bianca, era stato arrestato. E non per una svista, e neanche per una marachella, ma per guida in stato di ebbrezza. Il team del repubblicano tentò di minimizzare, sostenne che un incidente così lontano nel tempo avrebbe avuto sulle opinioni degli americani scarso impatto. Bush in persona cercò di archiviare l’accaduto con una dichiarazione alla stampa: “Non ne vado fiero. Ho commesso degli errori. A volte ho bevuto troppo, e l’ho fatto quella sera. Ho imparato la lezione“. Ma Karl Rove, suo stratega elettorale, ammise dieci anni più tardi che quello scandalo rischiò effettivamente di costargli l’elezione. Bush, è la tesi, perse per via di quella sorpresa d’ottobre la bellezza di cinque Stati e il voto popolare, dunque quasi la Casa Bianca. A salvarlo 537 schede nello Stato della Florida e una sentenza della Corte Suprema che ancora toglie il sonno ai Democratici.
Quattro anni più tardi il calendario degli imprevisti fu con Bush decisamente più clemente. Il 29 ottobre 2004, tre giorni prima del voto, Osama bin Laden riemerse dall’oscurità che lo avvolgeva con un videomessaggio indirizzato all’America. Da una località sconosciuta, la barba un po’ più grigia rispetto alla sua ultima apparizione, il leader di al-Qaeda ammise infine la paternità degli attacchi alle Torri, evocò la possibilità di “un’altra Manhattan“. E prese di mira George W. Bush, così designandolo come suo antagonista, così ricordando agli Stati Uniti che l’11 Settembre non era passato, la guerra al terrorismo non ancora finita.
L’ottobre del 2012 pugnalò alle spalle invece Mitt Romney. O forse fu il gesto di un kamikaze. Il candidato repubblicano venne ripreso nell’atto di sminuire quasi metà del Paese in un evento a porte chiuse con ricchi donatori della sua campagna. “C’è un 47% di persone che voterà per il Presidente a prescindere da tutto“, disse riferendosi a Barack Obama, “bene, c’è un 47% che è con lui, che dipende dal governo, che crede di essere una vittima, che crede che il governo abbia la responsabilità di prendersi cura di loro, che crede di avere diritto all’assistenza sanitaria, al cibo, alla casa, a qualsiasi cosa. Che sia un diritto. E che il governo dovrebbe darglielo. E voteranno per questo presidente a prescindere da tutto. E, voglio dire, il presidente inizia con 48, 49, 48%…parte da un numero enorme. Si tratta di persone che non pagano l’imposta sul reddito. Il 47% degli americani non paga imposte sul reddito. Quindi il nostro messaggio di tasse basse non si collega. E lui parlerà di tagli alle tasse per i ricchi. È quello che vendono ogni quattro anni. Quindi il mio compito non è quello di preoccuparmi di queste persone: non riuscirò mai a convincerle che dovrebbero assumersi la responsabilità personale e prendersi cura della propria vita. Quello che devo fare è convincere quel 5-10% di indipendenti al centro che sono riflessivi, che pensano di votare in un modo o nell’altro a seconda, in alcuni casi, dell’emozione, che il candidato piaccia o meno”.
Un Obama incalzato nei sondaggi non se lo fece ripetere. Nel secondo dibattito presidenziale saltò al collo dell’avversario, addentò la preda: “Pensate a chi stava parlando: persone con la previdenza sociale che hanno lavorato per tutta la vita, veterani che si sono sacrificati per questo Paese, studenti che sono là fuori a cercare di portare avanti i loro sogni, ma anche i sogni di questo Paese, soldati che sono all’estero a combattere per noi in questo momento, persone che sono là fuori a lavorare duramente ogni giorno“.
Eppure è difficile trovare un anno più ricco di “sorprese d’ottobre” del 2016. Il primo del mese il New York Times rivelò le acrobazie fiscali che consentirono a Donald Trump di eludere il fisco per almeno 18 anni. Appena 6 giorni più tardi il Washington Post pubblicò la registrazione, risalente al 2005, in cui lo stesso Trump sosteneva che fosse possibile fare alle donne “qualsiasi cosa“, incluso “prenderle per la fi*a“, perché “quando sei una star ti lasciano fare“.
Ma nulla pareggiò l’impatto della lettera inviata al Congresso dal direttore dell’FBI, James Comey, quella in cui veniva annunciata la riapertura delle indagini sulla gestione di e-mail classificate da parte di Hillary Clinton. La diretta interessata, nel suo libro di memorie, commentò amara: la mattina del 28 ottobre “le cose stavano andando troppo bene da troppo tempo“. Quasi nessuno ricorda che a tre giorni dal voto lo stesso Comey ridimensionò la portata dell’inchiesta: “Beh, fantastico. Troppo poco, troppo tardi“, sintetizzò perfettamente Hillary anni più tardi.
Ora dovrebbe essere chiaro: il tentativo di anticipare una sorpresa d’ottobre è una contraddizione in termini. Altrimenti che sorpresa sarebbe? Ma la Storia suggerisce che il mese di ottobre in un anno elettorale è il più lungo del calendario, che qualcosa potrebbe ancora succedere. E allora, perché non provare? Ecco le 7 possibili sorprese d’ottobre capaci di stravolgere la sfida Harris-Trump.
Aspettando la sorpresa d’ottobre. I 7 casi che potrebbero stravolgere la corsa per la Casa Bianca. Scenari, probabilità e ripercussioni sui candidati
Piccola premessa, prima di iniziare. La cronaca ha in questi mesi dimostrato di essere particolarmente attiva: uragani devastanti, conflitti militari in giro per il globo, due tentativi di assassinio nei confronti di un candidato alla Casa Bianca. Insomma: nelle righe che seguono non troverete ipotesi azzardate, nessuno scenario di “messaggio dallo Spazio”.
1) Cessate il fuoco a Gaza. Rilascio ostaggi americani. Probabilità: 25%
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