Dietro le nomine di Gaetz e Gabbard: sforzi in atto per fermare Trump. Braccio di ferro del Presidente eletto. I timori per la sicurezza nazionale USA

Un esperto lupo di mare come Joe Manchin, senatore indipendente, interpellato sulla reazione della sua camera di appartenenza alla notizia delle nomine di Matt Gaetz e Tulsi Gabbard, ha fornito il titolo di giornata. O forse quello del film politico del prossimo Natale: “Nessuno può crederci“.
Resoconti anonimi, provenienti in questo caso da colleghi parlamentari meno temerari, hanno aggiunto alla locandina un po’ di suspence. Sembra infatti che in Senato, all’arrivo della notifica sul primo smartphone, sia seguito un sussulto. Prima individuale, poi collettivo. Preludio della domanda generale: “Scusate, ma Trump cos’ha davvero in mente?“.
Perché almeno fino a ieri uno schema rassicurante, persino per i nemici del tycoon, sembrava profilarsi: nomine MAGA su temi identitari e nomine repubblicane – quasi “vecchio stampo” – per ruoli di maggior impegno.
Ma la serata di ieri c’è stata, è avvenuta sul serio, ed è parsa smentire ogni ragionamento, ogni ipotesi di compromesso.
Di più: ha delineato un quadro inquietante. A neppure 10 giorni dal suo successo, Trump rischia di condurre gli Stati Uniti verso la prima crisi istituzionale del suo secondo mandato.
C’è una cattiva notizia: è che questo sarebbe il meno.
Il guaio, per intenderci, vedrebbe un’America diretta verso una china a dir poco pericolosa, con un Dipartimento di Giustizia politicizzato, pensato per ferire l’avversario, e una comunità di intelligence a rischio di intrusioni esterne, perforabile, lontana dalla sua direzione tradizionale.
Gaetz è il “villain