Maggio 8, 2023

Meloni-Haftar: retroscena di un incontro. Italia-Libia: l’ultima partita del signore della guerra, il figlio Saddam e il ruolo della CIA

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Alla fine, dopo anni di sgarbi, provocazioni, incomprensioni, la domanda è sorta spontanea. Che sia una questione personale ad impedire un’intesa tra Khalifa Haftar e l’Italia? Chi conosce il generale libico non si spinge fino a tanto. Del resto l’uomo forte della Cirenaica è e resterà un enigma. Anche per i suoi sodali. Eppure un dettaglio a sostegno della tesi – nella storia familiare degli Haftar della tribù alFarjani di Ajdabiya – in realtà esiste. Il padre del feldmarescialo, negli anni Venti del secolo scorso, combatté strenuamente gli occupanti italiani. Può essere che l’assenza di chimica con Roma sia in definitiva riconducibile ad una…questione di “sangue“? Difficile. La geopolitica non è sempre – solo – questione di sentimenti. Così se il signore della guerra di Bengasi e l’Italia si sono spesso ritrovati uno contro l’altro, interpreti di fronti ed interessi opposti, è stata colpa di ingovernabili circostanze. Di quello che qualcuno chiamerebbe caso, altri destino. Il fenomeno è molto simile a ciò che accade nel deserto. D’altronde sempre di Libia parliamo, no? Il vento sposta le dune, cancella i riferimenti. Per anni, ad ogni folata di tensione, ad ogni rimescolamento del paesaggio, Haftar e l’Italia sono apparsi sempre più lontani. Fino a qualche giorno fa, fino all’ultimo viaggio del generale nella Capitale.

Giorgia Meloni ha deciso di non sponsorizzare più di tanto il suo incontro con l’uomo che controlla la Libia orientale. Né sul sito del Governo, né sui suoi profili social si trovano fotografie dell’incontro con il generale. Haftar, al contrario, non ha rinunciato a pubblicizzare una stretta di mano col premier italiano.

La scelta di Meloni si può spiegare in molti modi. Da una parte un dato di fatto: Haftar non riveste alcun ruolo ufficiale nell’unico governo riconosciuto dall’Italia e dall’ONU, quello di Tripoli. Dall’altra due considerazioni di opportunità. La prima: Haftar non è esattamente il tipo di personaggio con cui sei felice di farti immortalare. La seconda: il passato. Quello che riconduce alla vicenda dei pescatori di Mazara del Vallo, sequestrati e poi tenuti in ostaggio per mesi proprio dalle milizie di Haftar.

Nella circostanza, Meloni sfoggia un linguaggio molto “muscolare” (eufemismo). L’operazione negli annali finisce per la geolocalizzazione che Rocco Casalino, vittima e carnefice di una spettacolarizzazione dai contorni deprimenti, invia ai giornalisti dalla municipalità di Bengasi.

Il tutto mentre il duo Conte-Di Maio è costretto a sottostare al ricatto del generale: una passerella in Libia accanto a lui come condizione per ottenere il rilascio degli ostaggi.

Ecco, in quei giorni, Meloni, con la libertà che è propria solo di chi sta all’opposizione, è critica in una maniera che sfocia nell’imprudenza: “Se fossimo stati una Nazione con gli attributi – dice – Haftar avrebbe già visto da tempo il profilo delle navi della nostra Marina militare al largo delle sue coste e usato qualsiasi mezzo possibile per riportarli a casa“. Oggi, da Palazzo Chigi, Meloni ha altre esigenze. Una è ideale: tornare a contare in Libia, in quello che una volta chiamavamo “cortile di casa“. La seconda è di necessità pratica: porre un freno, in vista dell’estate, all’aumento degli arrivi di migranti in Italia dal Paese africano.

I dati del Viminale hanno fatto scattare da tempo le sirene d’allarme nei palazzi governativi. L’incremento del numero di migranti provenienti dalla Libia, da inizio anno, ha già sforato il 150% rispetto allo stesso periodo del 2022. Ma ad attirare l’attenzione di chi analizza i dati è un’altra circostanza, molto strana: più della metà delle partenze ha luogo dalla regione più lontana dalle sponde italiane. Quale? Quella controllata da Haftar. Sembra chiara l’esistenza di una regia. C’è lo zampino del Wagner con cui il generale intrattiene da anni rapporti a dir poco stretti?

L’agenda del generale, nel suo viaggio a Roma, è a dir poco fitta di appuntamenti. Nella serata di mercoledì, il primo approccio è con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il titolare della Farnesina ha da tempo individuato in Haftar l’interlocutore su cui intervenire per stabilizzare la Libia. E lo ha fatto presente poche settimane fa ad uno dei suoi principali sponsor nella regione, il leader egiziano Al Sisi. Ma la geopolitica alle volte sa trasformarsi in un puzzle di difficile composizione. Capita così che due alleati chiave in Libia giochino su sponde opposte in Sudan, dove da settimane infiamma la guerra civile. Lì il Cairo sostiene il capo dell’esercito regolare al-Burhan, mentre Haftar è schierato con il golpista Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti. Non ha dimenticato, Haftar, il sostegno ricevuto nella sua battaglia per Tripoli, qualche anno fa. Adesso sta restituendo il favore. Questione d’onore, certo. Ma anche di sponsor in comune: Wagner, nel caso specifico.

Pure l’Italia deve fare i conti con le sue contraddizioni. In passato ha avallato l’addestramento delle milizie di Hemedti nella speranza di riuscire a controllare i confini del nord del Sudan, così da limitare l’afflusso di migranti subsahariani verso il Mediterraneo. Ma oggi, in questo perenne rimescolamento di carte, consapevole della vicinanza di Hemedti al Gruppo Wagner, chiede ad Haftar di prenderne le distanze.

Giovedì mattina, a porte chiuse, Giorgia Meloni stressa la necessità di un cambio di rotta da parte del generale e delle sue milizie. Il lavoro dell’intelligence italiana ha chiarito che sono Bengasi e Tobruk gli snodi principali da bloccare in ottica partenze. E qui Jalel Harchaoui, associate fellow presso il Royal United Services Institute (RUSI), il più antico e più importante think tank del Regno Unito in materia di difesa e sicurezza, confida a questo Blog una versione dei fatti clamorosa. Harchaoui dichiara di aver parlato con insider libici a conoscenza del modo in cui i colloqui di Roma sono stati percepiti dall’entourage di Haftar: “Quando gli italiani hanno fornito una mappa precisa del punto in cui le imbarcazioni di migranti lasciano le coste della Cirenaica, Haftar si è chiesto se fosse vera o falsa“. Il cortocircuito, secondo Harchaoui, ha luogo quando il governo ribatte: “Tuo figlio Saddam è al corrente di queste operazioni“. Khalifa, sostiene l’esperto del RUSI, la prende sul personale: “Si è sentito offeso“. Cosa dice Roma di questa ricostruzione? Il Blog ha sentito al riguardo il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Chi è Saddam Haftar? E cosa c’entra in questa storia il direttore della CIA, Bill Burns?

Negli ultimi mesi stanno moltiplicandosi le voci di una successione all’interno della famiglia. Dopo aver a lungo …

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