Settembre 14, 2021

Agì alle spalle di Trump, salvò il mondo: così il generale Milley ha evitato la Terza Guerra Mondiale

Ad un passo dalla Terza Guerra Mondiale. Sull’orlo di un conflitto nucleare che avrebbe distrutto il Pianeta.

Non è il plot di un film catastrofista, ma il racconto di quanto realmente accaduto soltanto pochi mesi fa per effetto delle azioni di Donald Trump.

Solamente il coraggio e l’intraprendenza del generale Mark A. Milley, capo di stato maggiore congiunto dell’esercito americano, hanno scongiurato il peggio.

A raccontarlo è Bob Woodward, mito vivente del giornalismo, il signore che insieme a Carl Bernstein vinse il Pulitzer per l’inchiesta Watergate, nel suo nuovo libro intitolato “Peril“, pericolo, scritto a quattro mani con il reporter veterano del Washington Post, Robert Costa.

La storia è la seguente. Milley viene informato dall’intelligence americana che la Cina teme concretamente di essere attaccata dagli Stati Uniti. Quelle di Pechino non sono preoccupazioni basate sul nulla. Le tensioni latenti derivate dalle esercitazioni militari nel Mar Cinese Meridionale sono un fatto. E poi c’è Trump. I suoi continui attacchi verbali alla Cina vengono considerati da Pechino il preludio ad un’azione militare. Milley lo sa e per questo il 30 ottobre 2020 alza il telefono e compone il numero della sua controparte cinese, il generale Li Zuocheng dell’Esercito Popolare di Liberazione. Ecco le parole pronunciate da Milley: “Generale Li, voglio assicurarle che il governo americano è stabile e tutto andrà bene. Non abbiamo intenzione di attaccare o condurre alcuna operazione cinetica contro di voi“.

Non è l’ultima volta che il generale Milley agisce all’insaputa del suo presidente. Succede di nuovo quando la democrazia americana sembra vacillare. E’ l’8 gennaio, due giorni dopo l’assalto a Capitol Hill dei trumpiani. Ancora una volta il capo dell’esercito USA si rivolge al capo dell’esercito avversario, quello con cui prima o poi incrocerà le spade, o forse sarebbe meglio dire le armi nucleari. Il contenuto della telefonata è drammatico: “Generale Li, io e lei ci conosciamo da ormai cinque anni. Se dobbiamo attaccare, la chiamerò in anticipo. Non sarà una sorpresa“.

Prese fuori dal contesto queste dichiarazioni hanno il potenziale per paventare l’accusa di “alto tradimento”, per condurre Milley dritto davanti alla corte marziale. Ma le circostanze in cui sono state pronunciate sono eccezionali. Un presidente che non prende le distanze da un tentato golpe, che lo incoraggia con le sue dichiarazioni. Il generale ha fatto l’interesse nazionale. La sua autorevolezza è tale che anche dinanzi alle immagini del caos, il generale cinese Li lo prende in parola: è incredibile, ma si fida di Milley.

Quest’ultimo, però, ha ancora qualcosa da fare. Prima telefona all’ammiraglio che supervisiona il Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, l’unità militare responsabile per le operazioni in Asia e nella regione del Pacifico, quella che interessa la Cina, appunto, raccomandandosi di rinviare le esercitazioni militari così da non fornire segnali che possano essere fraintesi da Pechino. Poi convoca gli alti ufficiali per rivedere le procedure per il lancio di armi nucleari: dice loro che solo il presidente può dare l’ordine – ma, soprattutto, che anche lui, Milley, deve essere coinvolto. Emblematico il passaggio del Washington Post: “Guardando ciascuno negli occhi, Milley chiese agli ufficiali di affermare che avevano capito, scrivono gli autori, in quello che considerava un “giuramento”.

Perché Milley ha fatto tutto questo? Perché non è un traditore? Semplice: aveva abbastanza elementi per ritenere che la Cina, temendo di essere attaccata, colpisse per prima. Sarebbe stato l’inizio della Terza Guerra Mondiale.

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