Gennaio 29, 2020

Stavolta non è un film

  • “Cosa c’è stasera in tv?”
  • “Un’epidemia. Anzi no, una pandemia”.
  • “Che vuoi che sia? E’ la stagione dell’influenza, in questi giorni è atteso il picco”.
  • “Ma il Coronavirus…”.
  • “Ma no, fidati, sarà l’ultima trovata pubblicitaria di Fabrizio”.

Viene comodo negare la realtà, chiudersi a riccio nella propria routine, illudersi di pensarla impenetrabile. Le cose brutte succedono sempre e comunque agli altri, vero? Questo virus di cui tutti d’improvviso parlano, cos’è se non un riempitivo per i telegiornali? Ma sì, ora che in Emilia-Romagna si è votato non sanno più che raccontarci. Sarà una bolla, come i bitcoin. O una bufala, ecco, l’avranno inventata proprio i cinesi. D’altronde si sa che i loro prodotti sono farlocchi, manifattura tarocca, fake news made in China. Nel peggiore dei casi sarà come il cambiamento climatico, tutti ne parlano, Greta che sciopera, s’indigna, ma alla fine, qui, nel nostro quartiere, nel nostro palazzo, al caldo di casa, si sta bene anche con il riscaldamento globale. Al massimo d’estate teniamo acceso il condizionatore senza sosta. Lo fanno tutti, ti pare?

La lontananza delle notizie ci consola: noi non siamo cinesi, è chiaro che sia successo a loro, in Italia non sarebbe mai capitato. Siamo civili, noi. Al limite non andremo più dal nostro amico Wang, quello che ha il negozio 50 metri più avanti. E se provasse a salutarci, vedendoci per strada, non gli daremo la mano: lui capirà. Poi, di sera, avvolti nel nostro plaid preferito, sprofondati sul divano, tra una pausa pubblicitaria e l’altra, ci concederemo il lusso di una trasgressione, un’immedesimazione: come sarebbe essere messi in quarantena? Ce lo farebbero tenere il cellulare? E i nostri parenti? Potremmo abbracciarli se indossassimo una mascherina e dei guanti? Le troupe televisive come ci descriverebbero? A chi concederemmo l’esclusiva di una nostra intervista? E se avessimo la fortuna di salvarci, se il nostro corpo si dimostrasse più forte del virus, quanto tempo dovrebbe trascorrere prima di essere nuovamente accettati in ufficio, al lavoro, nella società? Saremmo eroi o reietti?

Sono domande che ci sfiorano per pochi istanti. Tanto sono distanti dalla nostra vita. No che non può succedere. Non a noi. Eppure 132 morti non sono uno scherzo. I film catastrofici che abbiamo guardato nelle fredde notti d’inverno dall’interno dei nostri pigiami in pile, le volte che abbiamo immaginato di essere pronti a sacrificare la nostra vita per salvare il mondo, dimenticate tutto: questo non è un film.

Non serve l’ufficializzazione da parte dell’Oms per dichiarare l’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Siamo già di fronte ad uno shock globale: migliaia di persone infette, milioni in isolamento, impossibilitate a lasciare le proprie case, legami che si spezzano, città deserte, locali che abbassano la saracinesca, scuole chiuse fino a data da destinarsi: tutto vero, questa non è un’esercitazione.

Nei film che abbiamo amato perché inverosimili, talmente paurosi da risultare finti, c’è sempre uno scienziato controcorrente, un personaggio che non viene ascoltato dalla comunità internazionale, che alla fine, pur tra mille difficoltà, riesce a salvare il mondo. Forse non siamo a questo. Non ancora. Non è il caso di alimentare psicosi, di vedere il pericolo dove non c’è: del resto il virus è invisibile, subdolo, maligno, forse addirittura mutante. C’è da stare con gli occhi aperti, c’è da prevenire. Ma è probabile che ad un certo punto ci toccherà anche curare. Saremo costretti a spegnere la televisione, a quel punto. E a sperare, o a pregare, se preferite, che quello scienziato arrivi.

Il vaccino, la cura, la vita.

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