Dicembre 16, 2020

Arcuri, governo: è ora di “fare sul siero”

C’è una grande ipocrisia in questa Europa. La comprendo, attenzione. Perché è difficile spiegare alle collettività nazionali che qualcuno inizierà prima a vaccinare e a salvare vite. Mentre altri faranno i conti con i loro cancri atavici, con le lentezze delle loro burocrazie, con la loro naturale tendenza al disordine e alla confusione.

Ma tant’è: il V-Day europeo, come ha chiarito anche oggi Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione europea titolare di Salute, Sicurezza e Migranti, non sarà il giorno in cui “tutto” il Vecchio Continente inizierà la campagna vaccinale. No, sarà soltanto una finzione, un modo per dire che nessuno rimane indietro: il giorno – ancora ignoto – in cui tutti e 27 i Paesi riceveranno alcune fiale del vaccino Pfizer. Punto.

Sarà l’azienda americana, come da contratto, ad occuparsi di recapitare le dosi oggi custodite nei magazzini ultra-sorvegliati di Bruxelles, e ad assicurarsi che vengano consegnate a 80 gradi sottozero negli ospedali. Da quel momento in poi “Leuropa senza apostrofo” potrà fare ben poco per eliminare le disuguaglianze tra i vari Paesi, per impedire che la catena di comando e quella logistica si inceppino al costo di centinaia di vite ogni giorno.

Di fatto lo ha ammesso lo stesso Schinas: “Qualcuno partirà il 26 dicembre, qualcuno il 28 o il 30 e così via”. Non meravigliatevi, insomma, se al di là delle prime dosi iniettate in simultanea – momento simbolico nel quale affermare plasticamente l’unione europea, rigorosamente minuscola – tra dicembre e i primi gennaio l’Italia dovesse finire per scontare un gap nei confronti di Germania e altri Paesi diciamo più…”pronti”.

D’altronde è evidente che la pianificazione non sia il nostro forte. Per settimane abbiamo criticato la gestione del governo Johnson in Inghilterra. Poi la realtà è arrivata, benvenuta, e ha raccontato un’altra storia: non solo il Regno Unito ha autorizzato lo stesso vaccino che adotteremo pure noi con almeno tre settimane di anticipo – e badate, la parola chiave della frase è “almeno” – ma ha anche già messo a disposizione dell’opinione pubblica i gruppi di priorità del vaccino, le categorie suddivise per lavoro, fascia d’età e condizioni di salute in ordine di somministrazione da qui alla fine della campagna vaccinale. Questa si chiama chiarezza.

In Italia sappiamo soltanto che le prime dosi andranno al personale dei luoghi di cura, a quello delle case di riposo e agli anziani che vi sono ospitati. Del domani non v’è certezza. Se neanche abbiamo elaborato una strategia chiara sulle persone che intendiamo vaccinare come possiamo pensare di metterla in atto senza intoppi? Manca persino il grosso dell’esercito dei vaccinatori: 20mila tra medici e infermieri che l’antidoto dovranno somministrarlo concretamente, dei quali 16mila dovrebbero assunti entro febbraio. Ripetiamo perché sia chiaro: febbraio.

Ecco perché non c’è bisogno di essere pessimisti cosmici per nutrire delle perplessità sul lavoro di Domenico Arcuri, ma in generale di tutto il governo, sul “tema” per eccellenza dei prossimi mesi.

Sarebbe ora di svegliarsi, di “fare sul siero”.

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