Global Tax sulle multinazionali: con Conte avremmo i manifesti…
Chi ha avuto modo di conoscere lo stile Mario Draghi, fin dagli anni del suo governo alla BCE, ha imparato che l’uomo non ama le inutili esaltazioni. Il tipo è pragmatico, alle volte persino asciutto nelle sue esternazioni. Per questo, se parla di un accordo di tipo economico come la Global Tax sulle multinazionali – intesa raggiunta a Londra dai Ministri delle finanze del G7 – definendolo un “passo storico”, c’è da fidarsi che tale sia.
E’ vero, l’intesa dovrà essere ratificata dai vari Parlamenti nazionali. E come ha ammesso onestamente il ministro dell’Economia italiano, Daniele Franco – a proposito, da lui finora poche parole e molti fatti – ci vorranno probabilmente “anni” prima che la tassazione sia veramente operativa. Ma la volontà politica fa la differenza. Biden ha tolto l’ombrello protettivo della Casa Bianca, lo stesso che ha impedito negli anni scorsi di tassare colossi digitali come Amazon, Facebook, Google e Apple. L’intesa raggiunta a Londra è la conferma che non ci sono intoccabili.
L’accordo si basa su tre pilastri: primo, l’introduzione del principio di un’aliquota globale di almeno il 15% (Biden voleva addirittura il 21%) per le grandi imprese globali, così da penalizzare la “concorrenza al ribasso” fiscale di alcuni Stati desiderosi di attrarre le multinazionali. Secondo: le multinazionali pagheranno le tasse dove fanno business – e non dove hanno la sede legale – tramite l’imposizione di tasse sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto. Queste tasse, traducibili in svariati miliardi di euro – saranno poi riallocate nei vari Paesi mediante un meccanismo ancora da stabilire. Terzo, le aziende dovranno obbligatoriamente pubblicare l’impatto ambientale delle loro politiche: la nuova frontiera è l’ambiente, si va verso anni di politiche interconnesse, non c’è altra soluzione.
La notizia politicamente più importante, vista dell’Italia, è il ruolo giocato dal nostro governo nel processo di raggiungimento dell’intesa. Solo pochi giorni fa, infatti, il nostro ministro delle Finanze aveva firmato con gli omologhi di Francia, Germania e Spagna, una lettera sul Guardian in cui si auspicava un cambio di passo sul tema.
L’accordo, poi, prenderà corpo a tutti gli effetti al G20 italiano in programma tra pochi mesi. C’è la firma in calce del nostro Paese sull’intesa, dovremmo andarne fieri.
Ebbene sì, siamo dunque dinanzi ad un passo storico. Eppure molti media hanno sottovalutato la portata della notizia. Scientemente o meno? La sensazione, almeno per alcune testate, è che se a siglare quest’intesa fosse stato Conte avremmo avuto i manifesti per strada ad esaltare il campione del popolo – “persona credibile”, cit. – che ha stangato le multinazionali brutte e cattive. Ma Draghi si sa, è quello del Britannia, certo…