Novembre 3, 2021

Ribaltone in Virginia: la notte che può cambiare (in peggio) la presidenza di Joe Biden

Le avvisaglie c’erano state, eppure i Democratici in Virginia pensavano di riuscire a spuntarla anche stavolta. Ma lo stato intitolato alla regina Elisabetta d’Inghilterra, “la regina vergine“, si è concesso all’amante che meglio ha saputo corteggiarlo, spazzando via nello spazio di una notte un decennio di fedeltà al partito dell’asinello. Il vincitore è Glenn Youngkin, ex uomo d’affari, da oggi nuova star del Partito Repubblicano: ne sentiremo parlare (e ne parleremo già nelle prossime ore). Ma il vero sconfitto, più dell’ex governatore McAuliffe, è Joe Biden.

Partiamo come sempre dai dati. Questo è il risultato elettorale in Virginia:

Ma la mappa più inquietante per i Democratici è questa:

Le frecce indicano come l’orientamento del voto nelle contee è cambiato rispetto alle presidenziali del 2020. Il colore è rosso, la direzione è destra: la Virginia, uno stato in cui Biden ha battuto Trump con un margine superirore a 10 punti, ha mollato i Democratici.

Cosa vuol dire questo ko per Joe Biden?

Se qualcuno tra i Democratici pensava di derubricare la sconfitta in Virginia ad episodio locale, alla sconfitta di McAuliffe inteso come candidato debole, c’ha pensato il New Jersey a lanciare un chiaro segnale ai Democratici. Guardate i numeri:

In New Jersey la contesa è ancora “too close to call”: balla uno 0,05% tra il candidato Repubblicano (italo-americano) Jack Ciattarelli e il Democratico Phil Murphy. Ma il problema è che quest’ultimo, governatore uscente, era accreditato dai sondaggi con un grande vantaggio: la sua elezione non sembrava in discussione. Cosa significa tutto ciò? Che il risultato in Virginia non è un episodio isolato: Biden e i Democratici hanno un problema in tutto il Paese.

E adesso?

Il precedente che viene citato maggiormente in queste ore dalla stampa americana (in particolare quella Repubblicana) è quello del 2009. Ad un anno dalla vittoria di Barack Obama, Virginia e New Jersey assestarono due schiaffoni all’allora presidente e passarano ai Repubblicani con le vittorie a sorpresa di Bob McDonnell e Chris Christie. Fu il preludio di quanto accadde un anno dopo alle elezioni di midterm, quando l’onda rossa dei Repubblicani travolse quella blu prendendo il controllo della Camera e del Senato. Ad oggi la tendenza sembra delineare uno scenario simile, e per i Democratici sarebbe un problema non da poco arrivare al 2024 in queste condizioni. Basta vedere quanta fatica facciano già oggi che una maggioranza nei due rami del Congresso ce l’hanno – per quanto “risicata”, per usare un eufemismo – a portare avanti la loro agenda (e sarebbe da capire quale: quella del “moderato” Joe Manchin o della socialista Alexandria Ocasio-Cortez?).

A meno di repentini cambi di rotta dell’amministrazione Biden, riuscita per il momento nell’impresa di scontentare tutti i componenti della sua coalizione – dai progressisti ai moderati – i Repubblicani nel 2022 saranno nelle condizioni di mettere i bastoni tra le ruote a Joe Biden, di renderlo un’anatra zoppa. Certo, la storia va raccontata per intero: Barack Obama persé le elezioni di metà mandato, ma ottenne ugualmente la riconferma nel 2012. Biden però non è Obama: il profilo è diverso, la congiuntura storica differente, l’età pure. Il presidente ha meno tempo a disposizione per invertire il trend. Per respingere l’oscuro presagio emerso nella notte che può cambiare (in peggio) il futuro della sua presidenza.

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