Febbraio 24, 2023

La storia di Denys Tkach, il primo soldato ucraino ucciso nell’invasione russa

Foto The Guardian

Potevano esserci molti modi per commemorare l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Avrei potuto fare il punto militare dopo un anno di combattimenti e spargimenti di sangue. Avrei potuto riportare le dichiarazioni di tutti i leader mondiali che stanno commentando questo tragico anniversario. Avrei potuto scrivere un articolo di retroscena, concentrarmi sui vaneggiamenti di Vladimir Putin. Ho pensato che niente avrebbe racchiuso il dramma di una nazione e del suo popolo meglio della storia di Denys Tkach, 36 anni, primo soldato ucraino ucciso nell’attacco russo, trucidato da una pioggia di proiettili poco dopo le 3.40 del 24 febbraio 2022, più di un’ora prima che Putin annunciasse al mondo l’inizio della sua “operazione militare speciale“.

A ricostruire la sua storia personale, militare, familiare, è stato il Guardian: dobbiamo ringraziare il quotidiano inglese, ha reso omaggio ad un uomo coraggioso, un soldato che pochi istanti prima di perdere la vita ha scelto di mettere in salvo i suoi cinque più giovani compagni, accettando di affrontare da solo una minaccia schiacciante.

Questa storia inizia e finisce al posto di blocco situato alla periferia del villaggio di Zorynivka, nella regione del Luhansk, dove Denys prestava servizio. Poche ore prima di morire, il sergente maggiore Tkach aveva parlato al telefono con la moglie Oksana. Avevano discusso dell’organizzazione dell’imminente compleanno della figlia Dominica, che di lì a qualche giorno avrebbe compiuto due anni. Al 21enne Artem Umanets, guardia di frontiera come lui, mentre i colleghi svolgevano il pattugliamento esterno, Denys aveva confidato l’intenzione di chiedere un giorno di permesso per festeggiarlo insieme alla sua bambina. Non poteva immaginare che di lì a poco sarebbe tutto finito.

Una manciata di soldati russi si muoveva sotto una fitta nevicata, nell’oscurità della notte ucraina, per aprire la strada all’esercito invasore alle proprie spalle. Quando la radio ha avvisato Denys e Artem del pericolo imminente, è stato il sergente maggiore ad ordinare ai compagni di mettersi al riparo. Lui li avrebbe seguiti in un secondo momento. Non ne ha avuto il tempo.

Proprio Artem ha descritto la scarica di colpi piovutagli addosso mentre correva disperato, cercando di sopravvivere. Proiettili, proiettili ovunque. Anche Oksana, l’indomani, preoccupata dalle tante chiamate senza risposta del marito, avrebbe notato questo particolare, accasciandosi sul suo corpo già rigido: “Non capisco come si possano sparare così tanti proiettili su un solo uomo. Tutto intorno era ricoperto da bossoli, l’asfalto intorno a lui e la strada“.

Lo scorso agosto, Oksana ha lasciato il suo villaggio: è andata verso occidente, quando ha capito che i suoi figli avrebbero dovuto frequentare una scuola russa. Le ha fatto male vedere che il superiore di Denys e uno dei ragazzi che erano insieme a lui il 24 febbraio sono rimasti nel villaggio, lavorando per i russi. Vedendolo a passeggio con moglie e figlia, Oksana ammette di essere stata attraversata da pensieri di vendetta: “Credo che la colpa di tutto sia sua. Perché non li ha avvertiti, non li ha richiamati dalla postazione“. Ma il peggio doveva ancora arrivare: è successo quando i genitori e la sorella di Denys si sono trasferiti in Russia, chiedendosi se non fossero stati gli ucraini ad ammazzarlo.

Secondo il servizio statale della guardia di frontiera ucraina, l’assalto russo a Zorynivka è stato il primo dell’invasione. Come sottolinea il Guardian, “nella nebbia della guerra, poco è certo, e può darsi che altre vite siano state perse in precedenti incursioni clandestine o in attacchi missilistici, ma molto fa pensare che Tkach sia stato il primo ad essere ucciso tra tutti i militari ucraini quel giorno in qualsiasi parte del Paese“. La medaglia al valore consegnata da Kyiv ad Oksana non può lenire il dolore per la perdita di Denys. Non c’è lieto fine in questa storia. È l’emblema di una guerra che si trascina da 365 giorni. Il suo ricordo onora quello di migliaia di eroi.

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